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18ma FESTA DI ROMA: TUTTI I PREMI
Molti i riconoscimenti dell'edizione 2023

Una città, Cubatão, tra le più industrializzate del Brasile, immersa nella verdeggiante campagna della regione di São Paulo ma inquinata dai fumi soffocanti delle fabbriche. E due personaggi, una madre e un figlio adolescente, corrispettivi problematici di quella stessa contraddizione, paesaggistica e sociale. Sono queste le duplicità attorno alle quali Carolina Markowicz, al suo secondo lungometraggio, fa ruotare Pedágio, il film vincitore del concorso Progressive Cinema della 18ª Festa di Roma, premiato lo scorso 28 ottobre dalla giuria presieduta dall’attore Gael Garcia Bernal.

Sospeso tra ricognizione antropologica, crime movie e fiaba surreale, Pedágio mette in stridente correlazione la vita di una casellante, addetta al pagamento del pedaggio su una trafficatissima autostrada, legata sentimentalmente ad un poco di buono, e quella di un diciassettenne appassionato delle celebri cantanti di un tempo, il quale, indossando golfini rosa e circondandosi di luci stroboscopiche, si riprende con il cellulare mimando le loro canzoni, pubblicando poi sul web le proprie performance. L’iscrizione del ragazzo ad un seminario di “riconversione sessuale”, tenuto da un fantomatico sacerdote, è il tentativo, da parte della madre, di impedire al figlio quelle imbarazzanti esibizioni.

La riflessione sulla “diversità” e, più in generale, sul senso di estraneità ad una “normalità” esistenziale, aggravato dalla mancanza di futuro, si traduce in Pedágio in una diversificazione di sguardi: quello sulla casellante, prima di tutto, attraverso cui lo spettatore esplora il suo anonimo microcosmo lavorativo; quello sull’adolescente, grazie al quale prende forma un disagio che travalica ogni età; quello sul compagno della donna, la cui attività illecita apre al film orizzonti delinquenziali. Ma ognuno di questi sguardi, nel lungometraggio della Markowicz, vale più che altro in quanto tale, isolato dagli altri, faticando a farsi proficua somma delle parti e a confluire, così, in una sintesi compiuta e armonica.

Meno dispersivo, dunque più riuscito, Blaga’s Lessons di Stephan Komandarev, Gran Premio della giuria a Roma 2023. La vicenda di un’insegnante di settant’anni, appena rimasta vedova, che in una cittadina bulgara si vede truffare telefonicamente il piccolo capitale accumulato per acquistare la tomba nella quale, prima o poi, raggiungerà il marito, si incarna in una protagonista resa efficacemente da Eli Skorchev (assente dagli schermi da trent’anni), costantemente sotto l’occhio della macchina da presa. Nel film di Komandarev, infatti, l’ostinato pedinamento della donna, al contrario del film della Markowicz, concentra le potenzialità narrative, traducendosi in metafora non solo di una generazione, quella dei pensionati, abbandonati a una quotidianità umiliante, ma anche di una società allo sbando, desolata e desolante. E il finale, sorprendente, ben rappresenta questo spaesamento violento e predatorio.

Anche Un silence, premiato per la miglior regia, si fa specchio riflettente e deformante di un degrado etico e morale, ma lavorando sul non detto, su una dimensione intima e fragile: nel film del belga Joachim Lafosse (al suo decimo lungometraggio) il tema di fondo è l’abuso famigliare e, per l’appunto, il silenzio che lo alimenta. Opera sotterranea, carsica, tutta giocata sul valore delle interpretazioni dei protagonisti, Emmanuelle Devos e Daniel Auteuil, Un silence indaga i delicati equilibri relazionali di un celebre avvocato nel momento in cui i figli decidono di iniziare la loro personale ricerca di giustizia. E ancora ai cortocircuiti interpersonali guarda la regista turco-tedesca Asli Özge nel suo Black Box (miglior sceneggiatura), ritratto paranoico della società odierna rappresentata dai buoni vicini di un condominio di Berlino che si rivelano profittatori e aggressori, espressioni laceranti di un mondo chiuso che rimanda, a sua volta, a suggestioni psichedeliche e al voyeurismo de La finestra sul cortile. Un film, dunque, su un cortile e sulla varia umanità che lo popola, riverbero di un intero Paese. Una radiografia sull’insicurezza e la diffidenza contemporanea, motori di una paura che può arrivare a cancellare ogni solidarismo.

Tanti i premi assegnati dalla giuria della 18ª Festa di Roma: oltre ai riconoscimenti al migliore attore e alla migliore attrice (rispettivamente Herbert Nordrum per The Hypnosis e Alba Rohrwacher per Mi fanno male i capelli), tre i Premi speciali della giuria: Achilles di Farhad Delaram (film di denuncia in cui un ex cineasta, consumato dall’ira e dal dolore, e una prigioniera politica, internata in un ospedale psichiatrico, si uniscono per sfuggire alla presa di un governo corrotto e persecutore), The Monk and the Gun del regista di Lunana, Pawo Choyning Dorji (curioso racconto morale e civile in cui, nel Buthan del 2006, dove per la prima volta vengono indette le elezioni democratiche, le vicende di un monaco s’intrecciano con quelle di un collezionista americano che vuole acquistare un antico fucile), C’è ancora domani, diretto e interpretato da Paola Cortellesi, vincitrice anche della Menzione speciale come migliore opera prima e del Premio del pubblico. A lei, e al suo intenso film sui diritti delle donne nell’Italia del primo dopoguerra, divertente e amaro nel contempo, gli applausi più lunghi di Roma 2023.

 

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.