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ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA STORIE DI DIRITTI E IMPEGNO CIVILE
'Passing', 'Hive' e 'Mediterraneo', tre film per tre sguardi coraggiosi sul mondo

Il diritto di potersi mostrare in pubblico con il proprio colore della pelle, senza per questo sentirsi giudicate, discriminate, oltraggiate. Il diritto di cercare una propria strada, esistenziale, sociale ed economica, liberandosi dai pregiudizi e dall’ostilità di un arretrato villaggio patriarcale. Il diritto di poter fuggire dalla miseria e dalla guerra che affliggono il proprio Paese d’origine, cercando altrove, lontano, una vita migliore attraverso un pericoloso “viaggio della speranza”.

Tre storie di diritti, alla Festa del cinema di Roma. Tre film, tra quelli presentati finora alla sedicesima edizione della rassegna capitolina, che, pur provenienti da nazioni diverse e ambientati in epoche differenti, appaiono contrassegnati da un vigoroso impegno civile. Un invito a non dimenticare ciò che è accaduto e ciò che potrebbe ancora accadere, quello lanciato da Passing, Hive e Mediterràneo, il primo collocando le vicende nella New York afroamericana di fine anni Venti, il secondo avanzando gli eventi a metà anni 2000 in Kosovo, il terzo raccontando fatti di cronaca risalenti all’autunno 2015 sull’isola di Lesbo.

Esordio nella regia dell’attrice britannica Rebecca Hall (già diretta da Woody Allen in Vicky Cristina Barcelona), Passing, tratto dal romanzo omonimo di Nella Larsen, racconta in un elegante, raffinato b/n l’amicizia tra due donne di colore, entrambe benestanti, costrette però (soprattutto la moglie di un facoltoso uomo d’affari), a fingersi bianche in una società perbenista e ipocrita. Il lungometraggio della Hall muove le sue sottili fila narrative incuneandosi nelle pieghe di una quotidianità black sottoposta al predominio della cultura wasp ma agitata al suo interno da rimozioni e bugie, in una sofferta ricerca identitaria che travalica la pura dimensione razziale per trasformarsi in una lacerante, intima esplorazione individuale e relazionale.

Le stesse polarità, uno sguardo femminile su una protagonista femminile all’interno di una comunità richiusa su se stessa e sui propri, egoistici privilegi, generano un emozionante campo magnetico nel film diretto da Blerta Basholli, nata nel 1983 a Pristina, anch’essa al suo primo lungometraggio. Opera di denuncia tratta da una vicenda realmente accaduta, Hive, rigoroso e asciutto, parte da una tragica pagina di storia (il conflitto armato in Kosovo del 1999) per posarsi, qualche anno dopo, su una donna, il cui marito è dato per disperso, madre di due figli e con suocero su sedia a rotelle: il suo tentativo, sostenuto via via da altre coraggiose vedove, di lasciarsi alle spalle desolazione e sconforto avviando una piccola impresa agricola, emancipandosi dalle accuse di aver umiliato, per questo, la sua famiglia, costituisce una tenace lotta condotta “dall’interno” che passa dall’ottenimento della patente per poter guidare un’auto e trova sbocco concreto nella produzione di miele e sottaceti venduti sugli scaffali di un supermercato. Un epilogo sereno che però la didascalia finale del film offusca di nero, ricordando le vittime ancora oggi mai ritrovate di una guerra fratricida.

Anche Mediterràneo ha tra i suoi personaggi centrali una giovane intraprendente e volitiva. È la figlia di un bagnino spagnolo che, scosso dalla straziante fotografia di un bambino siriano annegato sulle coste turche, decide con un collega di partire per Lesbo, dove scopre che ogni giorno migliaia di persone rischiano la vita cercando di solcare il mare con imbarcazioni precarie, ignorate dalle autorità navali dell’isola. Quel bagnino si chiama Òscar Camps, il fondatore di Open Arms, e il film di Marcel Barren, sorretto da uno slancio umanitario veemente e da una regia meticolosa, punteggiato da una ironia chiaroscurale e sostenuto dalle ottime interpretazioni di tutto il cast, ne racconta l’instancabile attività di salvataggio, rievocata anche in questo caso, sui titoli di coda, da opportune didascalie. Un film dal piglio sostenuto, dalla parte dei più deboli, di chi non ha più nulla da perdere, girato nei veri luoghi degli sbarchi, con centinaia di rifugiati assunti come comparse. Quello che era iniziato come un viaggio di due giorni si è trasformato in una missione durata mesi: un sussulto di coscienza che, ad oggi, ha salvato la vita a più di 60 mila persone.

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.