“Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo”. Evocare Gramsci per avvicinare Berlinguer. Non poteva che aprirsi con la nota citazione del fondatore del PC italiano il film di Andrea Segre dedicato all’indimenticabile segretario comunista titolato – non caso – Berlinguer. La grande ambizione. Non un biopic su Berlinguer, bensì il racconto appassionato e filologico del suo agire dal 1973 al 1978, concentrato sull’estenuante determinazione a costruire il compromesso storico con la DC di e con Aldo Moro. La Storia siglò l’epilogo di un’ambizione che rimase un’utopia irrisolta, ma è pur vero che a quel tempo era possibile e doveroso crederci. Su tale concetto, dunque, si concentra la narrazione sceneggiata da Marco Pettenello insieme a Segre che sceglie nei panni del protagonista un perfetto Elio Germano, non mimetico ma interprete dell’anima, stavolta calato in un corpo che prossemicamente mostra l’inadeguatezza e la fatica dello statista, la sua assenza di narcisismo, non un leader ma un segretario che sapeva essenzialmente ascoltare. È sul medesimo tono in sottrazione da protagonismo che s’innerva la rigorosa regia di Segre, che alterna le scene di ricostruzione cinematografica a lunghi footage di repertorio, evidenziando quanto per il regista padovano lo sguardo viaggi sempre sul sottile crinale tra documentario e finzione. Un’opera curata la sua, virata sui toni della nostalgia per un tempo e un modus operandi in politica che non esistono più grazie all’accompagnamento musicale struggente delle immagini di archivio, di scena un Berlinguer devoto alla “cosa pubblica” per cui sacrificò anche la vita privata, un sentito omaggio a 40 anni dalla sua scomparsa confezionato in un cinema dignitoso, mai superlativo, certamente didattico per le nuove generazioni contemporanee.
BERLINGUER. LA GRANDE AMBIZIONE (Andrea Segre) La politica come missione
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