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DANTE (Pupi Avati)
La versione di Boccaccio

Settembre 1350. Giovanni Boccaccio è incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico a Suor Beatrice, figlia di Dante Alighieri, monaca a Ravenna nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi. Il Poeta, bandito dalla propria città di Firenze, è morto povero e ramingo in esilio nel 1321, malgrado la sua fama si sia espansa ovunque grazie alla divulgazione della Divina Commedia. Con il cambiamento del clima politico nel capoluogo toscano, i governatori tentano una riconciliazione con la famiglia Alighieri, e i dieci fiorini costituirebbero un risarcimento simbolico per l’atroce confisca dei beni e per tutte le angherie subite da Dante e dai suoi cari. Affrontando quella parte di clero che considera la Commedia opera voluta dal demonio, Boccaccio accetta l’incarico con umiltà, onore e dedizione, convinto della genialità unica del Sommo. Il suo percorso prevede la sosta negli stessi conventi,  borghi,  castelli e  biblioteche frequentati da Dante e attraverso un viaggio fisico e spirituale riesce a ricostruire la vicenda di un uomo che non ha mai smesso di mettersi in discussione e cercare la Verità.

L’ “ineffabile” umanità di Dante Alighieri è il cuore della presente riflessione di Pupi Avati, che considera questo suo nuovo lungometraggio uno dei momenti più ambiziosi lungo il proprio percorso artistico ed umano.  Partito dalla scoperta della missione di Giovanni Boccaccio del 1350, il cineasta bolognese si è messo sulle medesime tracce di questi per scoprire l’immenso collega, registrando una costante rivelazione non tanto del poeta quanto dell’uomo che probabilmente fu.  Boccaccio, dunque, diviene sorta di Virgilio della racconto di Avati su Dante, nel rispetto della storiografia che attribuisce proprio all’autore del Decameron la prima biografia e appassionata divulgazione dell’opera del Sommo.  La strategia narrativa del film Dante è dunque costruita su un doppio binario temporale, da una parte il presente in cui si svolge la vicenda di Boccaccio, dall’altra il passato nella forma di flashback dedicato alla vita di Dante, dall’infanzia fino all’esilio e alla morte a Ravenna.  Per quanto sentito, desiderato e certamente ambizioso come da intenzioni, la nuova fatica di Avati appare più interessante nei desiderata che non nella sostanza cinematografica, impreziosita comunque da una convincente interpretazione di Sergio Castellitto nei panni di Boccaccio. E’ l’attore romano, che si è posto in evidente ascolto ravvicinato ai “sentimenti” del regista, a dar vita a scene profondamente emozionanti, quasi commoventi, specie quando la sua quest dantesca giunge al fatidico incontro con la figlia del Sommo, suora conventuale, destinataria dei dieci fiorini d’oro come risarcimento per le grandi sofferenze paterne. In quell’attimo (s)fuggente d’incontro si può sintetizzare quanto Pupi Avati ha dichiarato in merito al film:  “la conferma di quanto il dolore promuova l’essere umano a una più alta conoscenza”.

Dante

Regia: Pupi Avati
Cast: Sergio Castellitto, Alessandro Sperduti, Enrico Lo Verso, Carlotta Gamba
Durata: 94′

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.