Simone Agnetti analizza Di uomini e cani presentato a Venezia 81 e distribuito da Rai Cinema.
Milleduecento morti e duecentocinquanta rapiti, sono i numeri dell’atto terroristico di Hamas in Israele da cui ha avuto origine una guerra con decine di migliaia di morti su più fronti. Il film Al klavim veanashim (Di uomini e cani) del regista israeliano Dani Rosenberg, in concorso in Orizzonti a Venezia 81, mostra i giorni successivi al 7 ottobre 2023, data dell’inizio di questa grande tragedia.
La sedicenne Dar torna al suo kibbutz alla ricerca del cane, scomparso durante il massacro a cui è sopravvissuta giorni prima, e di notizie della madre rapita dai terroristi. Affronta gli orrori impressi nel luogo che l’ha vista crescere, i cui ricordi di vita sono narrati dal diario della madre in voce fuori campo. La ragazza assiste alla cruda realtà che si sta svolgendo oltre la recinzione del suo villaggio, vicinissimo a Gaza.
– Si possono rappresentare, raccontare, narrare questi eventi? – Questa la scoraggiante domanda che Rosenberg si pose a fine ottobre, quando iniziò a filmare, con la consapevolezza che il cinema sarebbe andato a sbattere contro il muro della realtà. La pellicola è girata nel kibbutz Nir Oz, una comunità agricola devastata dall’uccisione e dal rapimento di oltre un quarto dei suoi membri. La troupe, fatta di pochi membri, ha filmato coloro che si trovavano nella zona, seguendo la protagonista mentre si muove in questo territorio in guerra. La tensione della ricerca dei vivi e dei sopravvissuti ha plasmato il filo narrativo del film.
Cruciale in questo film la sequenza, fatta in animazione, di un sogno notturno della protagonista, in cui vediamo il cane disperato correre verso Gaza, inseguendo la madre della protagonista rapita su un furgone, l’animale si perde nella città e viene ritrovato e portato a casa da un bambino palestinese, che lo abbraccia mentre sente i primi bombardamenti cadere nel suo quartiere.
Può stupire lo spettatore occidentale vedere le dinamiche bonarie tra soldati e civili israeliani, si pensi all’ingenuità di dare ad altri il proprio cellulare durante una azione militare, in questo caso per la ricerca di un cane scomparso. L’IDF è un esercito popolare, di difesa nazionale, fatto da cittadini armati e non solo da professionisti in carriera. Questo aspetto fraterno, sottolineato nel film, nasce da questa natura. Tremende, infine, le sequenze di video che la ragazza trova sui canali Telegram, postate e ripostate dai terroristi di Hamas e dagli israeliani sopravvissuti, in cui si confondono le immagini della strage del 7 ottobre e dei rapimenti, con le immagini dei primi pesanti bombardamenti dell’IDF su Gaza.
Al klavim veanashim non è l’unico film prodotto sui fatti conseguenti il 7 ottobre, ma è certamente uno dei primi a presentarsi ad un festival internazionale fuori da Israele. La produzione israeliana al riguardo è ampia, con forti contrasti, dal grande e terribile documentario fatto montando i video dei cellulari dei rapiti e dei rapitori, alla fiction prodotto dagli haredim, i religiosi, sulla vendetta ebraica, al cinema d’autore.
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