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DRIFT (Helena Wittmann)

DRIFT

Camera fissa all’intero di una stanza d’albergo moderna, perfettamente ordinata, luminosa. Si odono le voci di due donne: sono due amiche, giunte in Scandinavia, nel freddo Mare del Nord, per trascorrere qualche giorno di vacanza assieme. Compaiono solo in un secondo momento le loro figure e fatichiamo a concentrarci sui volti e sui tratti fisici.

Fin da subito, protagonista assoluto dell’opera di Helena Wittmann – di cui è anche sceneggiatrice, direttrice della fotografia e montatrice – è il mare.

Nel dialogo iniziale tra le due donne (sono pochissime le battute dell’intera pellicola) si discute di miti ancestrali sulla creazione della Terra. Si cita una leggenda della Nuova Guinea, secondo cui il mondo si sarebbe formato da un impasto fluido di materia.

Poi la separazione delle due donne: una parte per l’Argentina, per raggiungere la famiglia, l’altra sale a bordo di una barca a vela per sfidare l’Oceano Atlantico e intraprendere un lungo viaggio in solitudine, che dal punto di vista cinematografico vuole diventare, per lo spettatore, una sorta di esperienza contemplativa, un esercizio mistico di totale sprofondamento nella forza generatrice e trasformatrice della natura.

Per molti e lunghissimi minuti, la Wittmann propone infatti solamente immagini del mare, che si fa a poco a poco abissale fino a diventare nero e minaccioso, come se la deriva geografica esternasse il radicale abbandono – da parte della donna – di ogni pretesa di stabilità. Ha deciso per cambiamento, le certezze e le sicurezze sono rimaste sulla terraferma. La camera insiste allora sul movimento delle onde, sulla rifrazione della luce nell’acqua, sulla variazione dei colori dell’acqua, per un risultato ipnotico e vertiginoso.

Non c’è dubbio sul fatto che Drift sia un film astratto, una metafora esistenziale che si svincola da ogni bisogno di narrazione. L’assenza di riferimenti, di storia, di “vita”, lo priva però della possibilità di immergersi a pieno con la protagonista in questo viaggio estremo, nel quale davvero si rischia di perdersi.

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Sull'autore

Marta Meneguzzo