Questo articolo fa parte di una scheda a corredo del webinar per soli esercenti sui film di Venezia 82 a cura di Arianna Prevedello e Gabriele Lingiardi. Potete trovare l’articolo in aggiornamento con tutti i film qui.
SINOSSI UFFICIALE
Elisa, trentacinque anni, è in carcere da dieci, condannata per avere ucciso la sorella maggiore e averne bruciato il cadavere, senza motivi apparenti. Sostiene di ricordare poco o niente del delitto, come se avesse alzato un velo di silenzio tra sé e il passato. Ma quando decide di incontrare il criminologo Alaoui e partecipare alle sue ricerche, in un dialogo teso e inesorabile i ricordi iniziano a prendere forma, e nel dolore di accettare fino in fondo la sua colpa Elisa intravede, forse, il primo passo di una possibile redenzione.
POETICA
È ancora carcere: pur mantenendo il medesimo sfondo di reclusione Elisa si può considerare un film nettamente più respingente di Ariaferma (2021) eppure prezioso, coraggioso e anche creativo. Leonardo Di Costanzo evita ogni scorciatoia e guarda in faccia (ce la mette Barbara Ronchi) la parte oscura, mostruosa e dimentica del male, dell’odio che si sviluppa silenziosamente dentro di noi senza farsi notare, dell’altro sé che soggiace timidamente in noi finché il fiume della repressione non tracima, per poi volare al comando all’improvviso. Vittorio Lingiardi, scrivendo di Elisa, l’ha definito «il falso sè».
LA COSA PIÙ BELLA
Stare col mostro. E chi vuol starci? Valeria Golino nella parte di Laura offre questa prospettiva fin dall’inizio del film. E’ seduta in platea come noi che ci approcciamo a questa storia. Lei ascolta il criminologo (Roschdy Zem). Noi lo ascolteremo a colloquio con Elisa Zanetti per buona parte dell’opera. Per due volte questo personaggio minore, in sottrazione e per questo strategico, entrerà nel discorso filmico con la sua rimostranza, con la sua riluttanza segnata da una pesante criticità a stare in questo faccia a faccia. Il film sta, perfettamente a suo agio, in quella zona grigia dove il mostro racconta una volta, due volte, tre volte… la propria storia a qualcuno, finché un giorno scopre disgraziatamente i vizi di forma di quella “favola”. La vera prigione, da questo momento in poi, allora non sarà più il recinto nel bosco (la reclusione), ma proprio la disgrazia di ricordare che mette dietro le sbarre, per un tempo irrisolto, la nostra speranza di riuscire a stare al cospetto del (nostro) male supremo.
CONNESSIONI
Il film prende spunto dal saggio di criminologia “Io volevo ucciderla. Per una criminologia dell’incontro” di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali (edizioni Raffaello Cortina, 2022) e si inserisce in quella scia filmica che affronta la possibilità virtuosa della giustizia riparativa, quella che aggiusta le persone, i legami, le storie, i traumi, le coscienze. Quella che va otlre la verità processuale e che si prende in carico tutti quei sentimenti più o meno rimossi che non trovano compensazione nella pena o nel senso di colpa. È quel passo in più che prova a fare anche il cinema. Se la strada prescelta, allora, da Di Costanzo è tutta dichiaratamente in salita, forse il panorama che prima o poi si aprirà potrà dire qualcosa in più dello sforzo, della cura e letteralmente dell’impresa attraversata.
ALERT
Oltre a sentire le budella torcere, nel film potreste scovare profonde connessioni spirituali e suggestioni cristianamente orientate. Farsene carico non è una passeggiata. Almeno la grazia di vederle…
