Walt Kowalski per i due adolescenti asiatici Sue e Thao, Emanuele Assuero per Maria e Iaia, mamma e figlia, immigrate africane scappate dalla guerra. Con le dovute distinzioni estetiche possiamo dire che Gran Torino e L’uomo che disegnò Dio hanno in comune letteralmente un giusto travestito da stronzo.

Nell’era del «follemente corretto» – la definizione è di Caterina Soffici – potremmo raccontarli come persone che si relazionano serenamente in modo odioso.

Come pure cieco sarebbe sostituibile con persona non vedente, come nel caso di Emanuele che però non ama per niente le perifrasi e preferisce attenersi a quel parlare “pane al pane e vino al vino”.

Il protagonista del film diretto e interpretato da Franco Nero è un burbero come il Walt di Eastwood convinto che il vero rispetto non venga tanto da un linguaggio perbenista o da una cosmesi verbale inclusiva quanto piuttosto da una irrinunciabile prossimità, pragmatica e sincera, che non gli impedisce talvolta di essere anche “bastardo”, così dirà di lui la sua amica e preside della scuola serale dove insegna (Stefania Rocca).

Nero, classe 1941, mette in scena un protagonista finalmente “palette” nella noia mortale e ingannevole dei protagonisti monocolore. Emanuele è rappresentante di quella parte di umanità consapevole che di ruvidità non è mai morto nessuno, ma che invece di abbandono o di emarginazione si può perire. È una persona che ha il coraggio, nell’era della suscettibilità, di credere che la tenerezza non sia un discorso. Pur cogliendo una tensione didascalica che poteva essere contenuta a beneficio della storia e delle convincenti interpretazioni, L’uomo che disegnò Dio riesce, infatti, a calarsi in una narrativa politica, schivando con successo ambientazioni e atteggiamenti borghesi, per provare a raccontare l’Italia dei ceti medio bassi con le sue povertà e i suoi desideri. Tanti, non tutti, si siedono non a caso al tavolo di Emanuele per rivendicare una fetta in euro del suo talento che non è per niente quel “diversamente abile” a cui c’hanno educato. «Decenni di politicamente corretto – scrivono Mastrocola e Ricolfi in Manifesto del pensiero libero (ed. La nave di Teseo, 2022) – hanno contribuito a cambiare anche le persone, rendendole ipersensibili, permalose, sempre più propense a pensarsi nel paradigma della vittima». Maestro di dignità, Emanuele apre la finestra sigillata dal politicamente corretto per far entrare quell’aria frizzante a cui non siamo più abituati e per la quale possiamo anche sopportare qualche didascalia di troppo. Nero piazza un megafono fuori dai salotti borghesi e amplifica la fame di soldi che si nasconde dietro a quel corteo di diritti con i quali la politica si è costruita una prosaica trincea: ci fa sentire quanto sia stomachevole l’odore che si sprigiona da questi desideri e quanto sia altrettanto liberante guardare in faccia la reale cecità dei nostri simili. In questa fame di essere tutti parte de La società signorile di massa – altro titolo di Ricolfi (ed. La nave di Teseo, 2019) – c’è un istante nel film senza dialoghi dove Emanuele, Maria e Iaia mangiano assieme attorno ad una tavola poco imbandita e sopra di loro intravediamo la parte bassa di una copia dipinta da Emanuele de “I mangiatori di patate” di Van Gogh. Lì, sonoro e regia raccontano in una perfetta simbiosi quanto più spesso nel film (purtroppo) è raccontato a parole. Il regista ci racconta quella sobria tenerezza spogliata dall’egemonia del linguaggio tenero della società dell’opulenza. Per un attimo, sono davvero pochi secondi, un cieco ci educa al mutismo e succede il miracolo di disegnare l’umano e ascoltare il trascendente.

Scarica la lettura sui Valori religiosi del film a cura di Mons. Luigi Misto’

Scarica l’approfondimento sui Valori etici del film a cura del prof. Rocco Pezzimenti

Scarica l’approfondimento sui Valori artistici del film a cura della Iconografa Daria Chmutova

Scarica l’approfondimento sui Valori comunicazionali del film a cura del prof. Gennaro Colangelo

Scarica l’approfondimento sui Significati umanistici del film a cura del prof. Antonello Scenna

 

 

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.