Mi sono presa il tempo per rivedere How to have sex  (uscito il 2 febbraio per mano della sempre sfidante distribuzione Teodora) e stavolta mi sono lasciata andare al viaggio dello sballo a Creta nei panni di tutti gli altri adolescenti co-protagonisti. E’ stata una trasferta altrettanto intensa di quella che avevo fatto negli abiti succinti di Tara, la più piccola del gruppo. Una statura esile che diventa una sorta di destino onnipresente che spesso la colloca nell’ombra o all’ombra degli altri, ma che al contempo non la mette in salvo dal “coltello alla gola” che la giovinezza rappresenta per quasi ogni esistenza. Se gli abiti di Skye e Em non sono meno succinti di quelli di Tara, dietro a quell’omologante smanioso-collettivo-estivo desiderio, in realtà, le personalità ancora in via di definizione delle altre due ragazze sono agli antipodi e attivano processi molto diversi nella relazione che ciascuna intrattiene con Tara. Vi dirò di più: ho fatto il viaggio anche nei panni di Paddy e di Badger, gli altri due giovani conosciuti a Creta particolarmente messi in luce dallo sguardo di Molly Manning Walker, qui esordio alla regia e sceneggiatura che le è valso il podio nella sezione “Un Certain Regard di Cannes 76.

Sarà perché Manning Walker inizia la sua formazione e carriera come autrice della fotografia – faccio mio l’appello di Vittorio Storaro di non usare la definizione di direttore o direttrice -, ma i giovani di How to have sex hanno tutti uno sviluppo in termini di immagine. Rimane indietro solo Paige: probabilmente dovremmo introdurre la ə per descrivere questa sesto personaggio? Al netto dei drammi di scrittura dei critici contemporanei, lì ci sarebbe voluto un altro capitolo e, col senso della misura di quanto si può approfondire in novanta minuti, Manning Walker sceglie giustamente di non appesantire ulteriormente il suo film. I cinque più “illuminati” diventano delle anime pellegrine consegnate al nostro scrutinio senza troppo giudizio. Penso sia impossibile, nel cinema, una totale assenza di giudizio: ci si lavora per sottrazione più possibile. Impossibile, invece, non decifrarne in questo «scrivere con la luce» i demoni e gli angeli che li abitano. Non a caso Tara indossa una collanina che spesso si impone al nostro sguardo con scritto Angel, un bijou che unito al titolo sfacciato interpella subito la nostra intelligenza emotiva.

Il dibattito indefesso che interessa alla regista è quello che si instaura nei luoghi della movida tra il desiderio indotto di aggiornare prima possibile il curriculum vitae con il primo atto sessuale e il principio di realtà delle tracce interiori che ogni esperienza lascia poi alla persona. E se scritta così potrebbe sembrare un’accelerazione moralistica dell’autrice londinese, in realtà il suo sguardo è fortemente abitato da una distanza scelta con precisione chirurgica che non ci mette in primo piano né il vomito reiterato dal troppo alcool né i tentativi maldestri di una sessualità fortemente disancorata dai sentimenti. Il filo rosso da seguire, così potente che è difficile non affidarsi, rimane lo sguardo, gli sguardi di questi giovani che aggiungono tutte le parole che questo film sceglie di non dire. Le battute sono, infatti, abbastanza contenute e comunque degli apripista verbali delle personalità. I dialoghi sono loro, stavolta, a farsi colonna sonora di uno sguardo che viene prima di ogni altra forma comunicativa. 

Uno sguardo che tradisce ogni volta le emozioni più vere, quelle che a parole diventano invece frasi ipocrite per mascherare la delusione, la tristezza, l’imbarazzo, la fragilità, la paura, la sottomissione, il disgusto o il terrore. Lo sguardo è la porta di accesso per incontrare dov’è realmente l’altro. Tara si lascia trovare a ben guardare. Anche Skye, Paddy e Badger sono lì, basta seguirli ma a volte può servire una seconda visione o qualcuno che prima del film, a dio piacendo, ti insinua quell’attenzione sfidante piuttosto di rivelarti la trama.

E per fortuna c’è Em che ne sa quasi più della regista, che parla anche dall’altra stanza, che supera le porte, le pareti e lancia segnali, che si ricorda dell’oltre da sé anche quando sfiora la felicità. Ubriaca per una volta di gioia, succede anche a Creta… Per definire la larghezza di sguardo di Em, quella che mira dritto verso Paige, non c’è ancora una lettera che ci viene in soccorso. Però, forse, c’è un sostantivo e si chiama amicizia, quella “pastiglia” che consente di imbarcarsi ancora senza lasciarsi tramortire irreparabilmente dalle esperienze vissute, di trovare il coraggio di tornare a casa da adulti – di cui volutamente qui non parlerò! – che ti chiederanno “come è andata?”, di struccarsi e guardarsi nel profondo. Eppure rimane che queste esperienze bisognerà elaborarle, ma per questo vi consiglio un altro film potentissimo: “Smoke sauna – i segreti della sorellanza” (in questi giorni al cinema grazie alle amiche e amici, sempre arditi, di Wanted) della regista estone Anna Hints. Come sempre rimane valido il mio motto che “non basta un film”…

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.