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HEAD FOR A DOLLAR (Walter Hill)
Un altro western, ma con qualcosa in più

Max Borlund, infallibile cacciatore di taglie, viene incaricato di recuperare la moglie di un ricco uomo d’affari, che pare sia stata rapita da un disertore di colore e portata in Messico. Parte per un lungo viaggio, accompagnato da un soldato chiacchierone ma integerrimo, attraversa torridi deserti e paesini dispersi, finché si imbatte nello spietato proprietario terriero che domina quell’area. E da quel momento la storia si fa complicata.

A questo si aggiunge un fuorilegge appena uscito di galera che vuole vendicarsi di Borlund, ma soprattutto la scoperta della verità: ovvero che non si trattava di un rapimento ma di una fuga della donna dal marito arrogante e violento sotto l’aspetto dell’uomo di successo. L’incarico di natura economica si trasforma così in un problema etico per il nostro eroe.

È ancora possibile, nel 2022, realizzare un western con pistoleri infallibili, sfide all’ultimo sangue, signori cattivissimi, messicani corrotti, persino con la grande sparatoria finale nella quale non possono che vincere i buoni? Il western è stato rivisitato in mille modi, ma in questo caso si vuole rientrare nella tradizione senza altre pretese. Però c’è un’efficace rappresentazione di una donna che cerca la propria indipendenza, rispetto alla quale gli uomini cercano di ridefinire il proprio ruolo, chi accentuando il proprio misero maschilismo, chi cercando un’etica essenziale come fondamento della vita. I cowboys sono stati messi in crisi proprio in relazione al loro proverbiale machismo. Dallo storico Brokeback Mountains al recente Il potere del cane qui alla Mostra del Cinema di Venezia sono passati uomini che hanno dovuto fare i conti con la propria mascolinità. Eppure, da questo punto di vista, la prospettiva più delicata di questo film, che non affronta l’omosessualità, ma si sofferma comunque allusivamente sul rapporto uomo-donna, risulta la parte migliore di una pellicola che resta di intrattenimento pur senza rinunciare a introdurre temi di attualità. C’è una scena in cui il cacciatore di taglie duro ma dal cuore tenero entra nella camera dove la donna sta facendo il bagno e il tutto si risolve con un dialogo un po’ provocatorio che non conduce né a una improbabile love story né a una forma di violenza, ma resta uno spunto, giocato tra imbarazzo e indecisione, per un raffinato confronto di genere.

Ma su tutto resta il divertimento: rivedere Christoph Waltz nel ruolo del cacciatore di taglie, con un aiutante di colore, riporta subito alla memoria il Django di Tarantino. Certo, non è un film con quell’ambizione né di quello spessore, ma giocare col cinema è sempre divertente.

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani