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IL MATRIMONIO DI ROSA (Icíar Bollaín)
Imparare a prendersi cura di sé, prima responsabilità di ogni persona

Arriva nei cinema italiani Il matrimonio di Rosa, una buona notizia almeno sul fronte artistico per il nostro paese segnato atrocemente dai femminicidi (ad oggi sono 83 dall’inizio dell’anno secondo il report del Viminale sulla violenza sulle donne). Diretto e scritto dall’attrice spagnola Icíar Bollaín, Il matrimonio di Rosa è un film sulla necessità di imparare a volersi bene, di aver cura di sé come prima responsabilità di ogni persona.

Rosa decide che è tempo di apprendere questa virtù così rara a 45 anni, quando si rende conto che tutti sono padroni della sua vita tranne lei. Il suo tempo e il suo spazio sono occupati soltanto dai bisogni e dai desideri di altri che prendono tutto quello che gli serve senza farsi troppe domande o problemi. In gran parte si tratta di familiari che nell’infinita disponibilità di Rosa hanno trovato una “comfort zone” che ormai danno per scontata.

Il catalogo che Bollaín mette in scena è variegato: dai fratelli ingombranti o egoisti ai genitori depressi, dai figli e nipoti senza una fissa dimora ai colleghi sempre in emergenza. Non c’è pace per Rosa che non conosce l’arte del “no”, quella negazione adulta che preserva lo spazio dell’ascolto di sé e di una generosità critica che contempla anche se stessi nella tabella di marcia giornaliera. Suo malgrado Rosa avrà respirato probabilmente a livello educativo un modello che per almeno metà della sua vita è riuscita a sostenere assecondandolo e diventando, quindi, “la preferita” di tutti grazie ai suoi reiterati “sì” che non mettono in discussione nessuno, ma la portano man mano ad una sfiancante sensazione di non avere una centratura della vita. A ben guardare questa solidità manca, in realtà, anche agli altri suoi due fratelli che hanno sviluppato in parallelo altre forme di disadattamento: “bevi come un taglialegna” dice Armando all’altra sorella.

Sono passati quasi 20 anni dal film Ti do i miei occhi (7 premi Goya, gli Oscar spagnoli) nel quale la regista spagnola raccontava Pilar, un’altra donna troppo generosa che con estrema fatica riusciva con il figlio ad abbandonare le mura domestiche lasciando più volte un uomo violento e perverso. Scritto sempre con Alicia Luna, Pilar faceva i conti con le contraddizioni del suo personaggio come capita a Rosa che finora ha sempre arrancato nel “prendersi in mano” e affrontare le sue fragilità, tanto da non avere il coraggio di dire al padre che non può decidere da solo di trasferirsi da lei soltanto perché lei è la sua “cocca”.

Con la lentezza reale della vita Pilar e Rosa raggiungono quella consapevolezza che impone gesti forti che cambieranno la loro vita per sempre. Rosa decide di sposarsi con se stessa, un matrimonio tutt’altro che fatto di egoistica solitudine e che con il registro della commedia diventa anche un vero spasso. Rosa promette di non affidare la sua felicità agli altri, i tanti che a turno diventano i colpevoli delle nostre brutte giornate, della serenità che non arriva mai davanti al nostro uscio. In riva al mare con un vestito cucito da sé promette simbolicamente a noi donne ciò che ognuna è chiamata a fare per assecondare sempre di più una condizione femminile di dignità e di autorevolezza. In queste promesse, senza un compagno che assiste però in disparte, c’è una chiamata alle armi per ogni persona verso quell’equilibrio psichico che tanto vacilla nella nostra società. Decidere di prenderci cura di noi stessi senza se e senza ma impone anche agli altri, come capita a tutti i satelliti che gravitano attorno a Rosa, di assumere nuove posture comportamentali.

Si rifugga responsabilmente dalla lettura del matrimonio di Rosa con se stessa come una vicenda che mette in secondo piano la bellezza della coppia, della famiglia e del matrimonio e si colga quanto lo scatto di adultità di Rosa, con amorevole pazienza per il tempo che c’è voluto, sia quello che invece manca in tanti legami per niente “riconciliati” come rivelano anche le lacrime del fratello Armando. Un film da correre a vedere, da portare in sala con noi soprattutto i più giovani senza distinzioni di genere, perché abbiamo decisamente bisogno di seminare qualcosa che evidentemente manca ancora nella sensibilità comune. “Libere dalla violenza, libere di scegliere” recitava uno striscione della fiaccolata contro uno dei tanti femminicidi di queste settimane. Anche Rosa nella sua unione con se stessa si promette di essere libera di scegliere, di non dover compiacere sempre tutti, di poter anche disobbedire ai desideri degli altri e di essere rispettata in questa sua scelta. Non tutte ce la fanno. Altro che filmetti…

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.