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IL PROFESSORE E IL PAZZO (P.B. Shemran)
Alla ricerca delle parole perdute

James Murray è un filologo e lessicografo scozzese autodidatta, senza titoli accademici ma dal sapere enciclopedico, al quale nel 1879 gli intellettuali della Oxford University affidano la redazione del primo dizionario al mondo che racchiuda tutte le parole di lingua inglese. Per realizzare una simile impresa Murray chiede aiuto alla gente comune, invitando chiunque a scoprire le radici etimologiche dei vocaboli e le loro citazioni in letteratura. Arrivato ad un punto morto nella stesura, lo studioso riceve una lettera di William Chester Minor, un chirurgo dell’esercito americano rinchiuso nel manicomio criminale di Broadmoor perché affetto da turbe psichiche e responsabile dell’uccisione per errore di un operaio padre di sei figli. Le migliaia di schede che il dottore invia a Murray si rivelano fondamentali per la compilazione dell’Oxford English Dictionary. E da questo insolito scambio epistolare nasce una profonda amicizia…

La vicenda de Il professore e il pazzo è narrata in un libro di Simon Winchester, pubblicato nel 1998, di cui Mel Gibson, essendone affascinato, all’epoca acquisì i diritti. Vent’anni dopo quel libro è diventato un film appassionante, anche se sovraccaricato, nella seconda parte, da toni enfaticamente melodrammatici. Due protagonisti bigger than life, quelli portati sullo schermo da Gibson e da Sean Penn, alle prese con una sfida impossibile sostenuta dall’amore sconfinato per la cultura. Due borderline estranei a regole e convenzioni (il primo deriso dal mondo accademico per le umili origini e il marcato accento scozzese, il secondo prigioniero della propria paranoia e di un oscuro passato militare nel “Nuovo mondo”), due visionari tentati dal sogno di racchiudere in quattro volumi (in realtà saranno dodici, completati solo nel 1928) tutto lo scibile linguistico britannico. Un sogno divenuto un’ossessione, uguale e contraria, per entrambi: per il professore, la cui infaticabile dedizione rasenta la lucida follia, e per il pazzo, i cui incubi allucinati vengono mitigati dalla maniacale erudizione.

Incorniciato in un décor sontuoso (lo scriptorium dove Murray opera coi suoi collaboratori, stracolmo di foglietti, lettere e note; i palazzi, i cortili, le vetrate, i prati dell’elegante Londra vittoriana) e alimentato da una adeguata, raffinata regia, Il professore e il pazzo non rievoca solo la genesi del più celebre dizionario enciclopedico mondiale, ma è anche una sensibile parabola etica su colpa e perdono, malattia e guarigione, dissidio e riconciliazione. Un’”epica del quotidiano” dove a pulsare sono la fede religiosa (nel caso di Murray, ossia, mutatis mutandis, Gibson) e l’abnegazione laica (nel caso di Minor). Sovrapponendo e scambiando di segno l’egoismo con l’altruismo, e facendo leva su un’inebriante quête di lemmi e locuzioni, il film di Shemran si illumina in numerose sequenze, ma, come detto, esaspera da metà racconto in poi il suo percorso di espiazione/redenzione, rifugiandosi nel didascalismo. Con un Sean Penn che, per restituire le ferite dell’anima e i labirinti mentali del suo personaggio, sfoggia un istrionismo attoriale talmente febbrile da risultare irritante.

Regia: P.B. Shemran

Nazionalità: Irlanda

Durata: 124’

Interpreti: Mel Gibson, Sean Penn, Natalie Dormer, Steve Coogan, Eddie Marsan

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.