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JOKER: FOLIE À DEUX, la videorecensione
Il musical sul clown innamorato

Joker Folie a deux

La recensione di Joker: Folie à Deux, il seguito del primo Joker premiato con il Leone D’Oro a Venezia nel 2019.

Se è vero che “Tutto ciò che accade nella vita può accadere in uno show” allora diventa plausibile che il celebre ritornello del musical celebrativo di Hollywood del 1974, That’s Entertainment, ovvero tutto è intrattenimento, diventi il leitmotiv non solo musicale ma soprattutto concettuale di Joker: folie à deux, l’atteso sequel del film che nel 2019 fece vincere a Todd Phillips il Leone d’oro a Venezia e a Joaquin Phoenix l’Oscar da miglior attore.

È dunque la radicalizzazione dello spettacolo, della messa in scena e – ancora una volta della performance come modus vivendi – il cuore ideativo del secondo capitolo dedicato da Phillips al noto clown criminale di Gotham City, a cui si somma l’elemento della musica come aggregante narrativo/drammaturgico. Di fatto, il genere portante di Joker: folie à deux è il musical classico, cui s’interseca naturalmente il dramma sull’identità fratturata e, nel caso specifico, il romance e il cinema processuale essendo gran parte del film ambientato nell’aula giudiziaria dove Arthur Fleck alias il Joker rischia la pena di morte per i cinque omicidi commessi nel primo episodio.

Aggiunta fondamentale al testo sceneggiato ancora una volta da Scott Silver e lo stesso Phillip è il personaggio di Lee – alias la celebre Harley Quinn di ideazione DC Comics – interpretata da Lady Gaga, star il cui casting si genera con la scelta stessa di informare un musical. Tra i due la nota quanto folle love story è tradotta in un sogno ingannatore di fuga e pertanto di salvezza, sia per l’abusato Arthur che per il suo personaggio dalla tragica e demoniaca risata, osannato ovunque compaia.

Per quanto la ricchezza creativa abbondi nelle premesse, il sequel di Joker non solo difetta della sua beffarda corrosività socio-politica cui faceva da controcampo la chapliniana poesia, ma ne risulta un prolungamento mal concepito e ancor peggio articolato nella sua schematicità, inutile lunghezza e persino poco organica fluidità. Un’occasione dunque persa che si giustifica, forse, solo per il talento messo in campo peraltro mal utilizzato.

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.

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