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JULIET, NAKED (Jesse Peretz)
La musica che gira intorno alla vita

Annie gestisce un museo nella cittadina marittima inglese dov’è cresciuta e trascina da tempo una relazione con Duncan, docente universitario, fan ossessivo del musicista americano Tucker Crowe, scomparso misteriosamente dalle scene venticinque anni prima. Quando riemerge una demo acustica dell’unico album di successo che Tucker aveva inciso allora, Duncan scrive una recensione entusiasta, mentre Annie posta una feroce stroncatura. Con sua grande sorpresa, Tucker apprezza la critica e scrive un’e-mail alla donna per ringraziarla. Ne seguirà un incontro che cambierà la vita di tutti: quella dell’ex rocker, del suo più grande ammiratore e della sua delusa compagna…

Ispirato al romanzo Tutta un’altra musica di Nick Hornby (pubblicato da Guanda nel 2009), che non a caso è il sottotitolo del film, Juliet, naked non tradisce, sulle prime, le caratteristiche dello scrittore di Febbre a 90°, Alta fedeltà e About a Boy (già portati felicemente sullo schermo): insieme a un disincantato umorismo dei dialoghi e alla messa a fuoco di personaggi “sbilenchi”, sempre sull’orlo del fallimento esistenziale, le sette note sono il retroterra culturale, oltre che il motore narrativo, anche del lungometraggio di Jesse Peretz. Ma dopo una prima parte scoppiettante, in cui sui tre protagonisti (la spenta coppia britannica, senza figli, impersonata da Rose Byrne e Chris O’Dowd, e il musicista “stropicciato” e recluso, con troppi figli avuti da troppe donne, incarnato da Ethan Hawke), trascinato da un succoso, amarognolo humour, scende un comune velo di inadeguatezze, rimpianti, voragini affettive, la sceneggiatura firmata da Evgenia Peretz, Jim Taylor e Tamara Jenkins si disperde in troppi rivoli laterali, allontanandosi dal centro focale della storia, per poi “riaccendere le luci” dello smarrimento individuale quando è ormai (quasi) troppo tardi.

Se fino ai ripetuti scambi epistolari tra Tucker e Annie, dunque, lo scacco arriva allo spettatore nitido e congiunto in un solo, nostalgico abbraccio tra le due sponde dell’oceano (“ho la sensazione di aver sprecato gli ultimi quindici anni della mia vita”, scrive lei; “ti può essere di consolazione sapere che i miei ultimi vent’anni mi sono scivolati addosso”, risponde lui), quando i due si ritrovano a Londra i toni brillanti cominciano ad apparire forzati, la scintilla dell’autoironia borderline si affievolisce a favore di un romanticismo agrodolce piuttosto fine a se stesso. Non tutto va al macero, beninteso: resta sul piatto una vivace, sulfurea incompatibilità tra ragione e passione con, sullo sfondo, l’uscio socchiuso della second life a far dimenticare, a chi ne fosse interessato, uno scialbo “primo tempo” dell’esistenza. E, soprattutto, resta appiccicata agli occhi (e alle orecchie) l’inversione del senso di marcia, tra fruitore ed esecutore, di quella musica che continua, nonostante tutto, a girare intorno alla vita.

Regia: Jesse Peretz

Nazionalità: Gran Bretagna

Durata: 105’

Interpreti: Rose Byrne, Ethan Hawke, Chris O’Dowd, Lily Brazier, Megan Dodds

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.