Sembra che tutto il mondo sia percorso da immensi flussi migratori, un fattore epocale, ogni terra di perseguitati genera i propri migranti, così lo è anche per i Rohingya, che muoiono a migliaia nel mare thailandese. Il regista Phuttiphong Aroonpheng, originario di Bangkok, vuole portare alla luce questa storia poco nota e molto attuale.
In una foresta vicino ad un villaggio costiero thailandese, affacciato sul mare in cui sono annegati migliaia di rifugiati Rohingya, un pescatore del luogo si imbatte in un uomo ferito e privo di sensi. Dopo aver portato in salvo lo sconosciuto, che non parla una parola della sua lingua, gli offre amicizia e lo chiama Thongchai, come un noto cantante locale. Tra i due nascono collaborazione e amicizia. L’impossibilità di parlarsi diventa un fattore di unione più che di distanza. Quando il pescatore scompare all’improvviso durante un misterioso incidente lavoro, Thongchai si impadronisce della vita dell’amico: della sua abitazione, del suo lavoro e persino della ex moglie ritornata a casa per necessità.
Il regista pone in secondo piano la tensione e i conflitti tra i protagonisti della storia.
A Phuttiphong Aroonpheng interessa aprire una visione, a tratti mistica, sulla realtà sommersa sotto la foresta e sotto il mare, quella di migliaia di morti senza nome che, come pietre preziose o animali marini, luccicano nell’oscurità della notte. Le luci naturali e le luci artificiali danzano e dialogano in immaginarie sinfonie visive. La colonna sonora, fatta di arie e temi musicali occidentali riadattati per il canto melodico thai, sostiene un film che a tratti diviene metafisico.
Una pellicola di sicuro interesse che necessita di approfondimenti non semplici per essere compresa a pieno.
KRABEN RAHU (MANTA RAY)
Regia: Phuttiphong Aroonpheng
Interpreti: Wanlop Rungkamjad, Aphisit Hama, Rasmee Wayrana
Thailandia, Francia, Cina
105’