Lo sguardo di Carla Nowak, insegnante in una scuola media modello, è pungente; la sua camminata per i corridoi della scuola è furibonda; il suo agire è nervoso. Siamo in Germania ma potremmo essere ovunque. Perché Carla vive in un perenne disagio? Cosa la spinge a calcolare la fiducia nei confronti di colleghi e studenti? Eppure è un’insegnante che crede nel proprio lavoro, coltiva e custodisce talenti, relazioni, idee. Durante una lezione di matematica i suoi alunni apprendono che una prova scaturisce dalla correttezza di un’affermazione che viene definita a prova di errore. La verità quindi esiste. Ma qui, evidentemente, qualcosa inizia a ingarbugliarsi, se non addirittura a spezzarsi. Inevitabilmente e coerentemente con le logiche del nostro mondo.

D’altra parte oggi, anche perché ci sono tante opportunità e complessità, l’educazione diventa più difficile, ma è appunto per questo che Carla ritiene che sia l’unica strada percorribile perché l’unica carica di senso, l’unica in grado di aprire alla salvezza. C’è una fatica che Carla accoglie come responsabilità, volge in opportunità e rimette in circolo come dono: è convinta che le fatiche che si affrontano a scuola non siano solo pesi ma anche sentieri che possano condurre ciascuno a diventare una persona migliore e quindi libera. Tuttavia, dentro lo sguardo di Carla risiede ciò che il mondo respinge o difficilmente riesce a comprendere perché oggi si deve fare i conti con una civiltà che interpreta sempre più la funzionalità come un valore perché rende facili molte cose. Ma è un rischio che espone all’autoreferenzialità ed espropria la libertà intesa come “amore” agapico, donazione e gratuità. E se c’è un concetto che fa a pugni con la funzionalità è proprio questo, perché la funzionalità gestisce tutto in termini di spesa e di ricavo e la donazione non c’entra nulla con questa categoria.

La sala professori verticale
La sala professori

La sala professori del regista İlker Çatak fotografa un mondo particolare per restituire in miniatura l’immagine di un mondo universale: la scuola è intesa sì come un luogo in cui si sovrappongono questioni, accavallano episodi, incontrano persone come in una società, ma è più di tutto uno spettro, il riflesso di una condizione esistenziale a cui siamo esposti e dove sembra prevalere l’individualismo sfrenato, la menzogna, l’ipocrisia, l’ambiguità. Un modo più che un mondo, dove si smonta qualsiasi ideale di comunità e dove la verità appare come un miraggio. Non è un film contro l’istituzione scolastica, ben inteso, ma un film sulle persone che abitano questo piccolo mondo e che si trovano a vivere medesime dinamiche nel grande mondo. E risulta molto interessante la scelta di far indossare all’insegnante Carla Nowak lo sguardo della donna che crede nella giustizia e nella verità esponendola ugualmente a quella sottile ambiguità di cui il film si nutre. Il video registrato di nascosto, all’insaputa di tutti, non comunica alcuna verità ma amplificherà semplicemente il sospetto e l’insicurezza. 

È questo il vero motivo dello scandolo: la verità rende liberi a patto che, solo se, a determinate condizioni, fino a prova contraria. E la Nowak se ne renderà conto a proprio spese scoprendosi fragile, vulnerabile e incapace di frenare quella valanga di scetticismo che inquina ciascun ambito del mondo (le relazioni, i media…) a sua volta consapevole di essere tanto condizionato dalla verità di immagini usate come prove di evidenza quanto sfiduciato dalle stesse perché schiacciato dalla forza della propria autoreferenzialità.

 

Dalla visione di questo film si esce disturbati. È un’esperienza per lo sguardo di ciascuno che conduce a porsi diverse domande decisive per l’oggi: nonostante la rabbia, la frustrazione, i nostri desideri, le paure, per cosa vale la pena lottare? Da che cosa vogliamo metterci in salvo? Chi e cosa proteggiamo? Per cosa siamo disposti a lasciarci ferire? Cosa significa, oggi, sacrificio? È guardando il corpo teso di Carla Nowak, la sua odissea, ma soprattutto l’azione resistente del ragazzo Oskar disposto a tutto pur di credere alla madre, che tornano alla memoria le parole di Agostino: “Molti ho incontrato che volevano ingannare, nessuno che volesse essere ingannato”. Sì, è un film di resistenza e di spirito che si domanda se e dove è ancora possibile trovare da qualche parte la salvezza.

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Sull'autore

Matteo Mazza