Presentato come il film scandalo della Settimana Internazionale della Critica 2017, Les Garçons sauvages si pone anzitutto come un prodotto tanto audace quanto astratto e lontano dal reale.
Volutamente inattuale a partire dall’ambientazione di inizio ‘900 e dalla sua costruzione estetica, la pellicola vede protagonisti un gruppo di ragazzacci appartenenti ad una classe borghese deteriorata, violenti e depravati, o meglio «intossicati dai desideri più oscuri», come afferma lo stesso regista.
Guidati da una sorta di spirito sovrannaturale, che li conduce ad uno stato di “trance erotica”, un giorno i cinque adolescenti stuprano e uccidono la loro insegnante di letteratura. Nel tentativo di essere rieducati, vengono affidati ad un capitano olandese e caricati a bordo di un vascello, dove vivono per settimane in condizioni estreme e vengono sottoposti a pesanti maltrattamenti fisici e psicologici.
La meta del viaggio è un’isola misteriosa, che allude chiaramente a quella narrata da Jules Verne: una terra esotica senza tempo e senza storia, in cui la vegetazione è animata e sessuata.
In quest’isola che inquieta e affascina allo stesso tempo, avviene però qualcosa di sconcertante e minaccioso: gli individui di sesso maschile vengono sottoposti ad una metamorfosi fisica (o meglio, quasi meccanica) e trasformati in donne.
Per il suo primo lungometraggio, Mandico sceglie atmosfere surrealiste e spettrali, immagini in bianco e nero, tecniche di sovrapposizione arcaiche, per un risultato grottesco che dal punto di vista dei contenuti sembra incapace di affrontare con criticità la necessità umana del desiderio e del piacere, tema centrale della pellicola.
Se il film è forse apprezzabile – dai più preparati – come sperimentazione visiva ed esercizio di distacco dai linguaggi contemporanei del cinema, assai più difficile risulta scorgere nuove prospettive sul paradigma dell’identità maschile e del suo rapporto con l’alterità.