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L’OMBRA DI CARAVAGGIO (Michele Placido)
Il genio fuori fuoco

Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, è rinchiuso nella prigione di Roma colpevole dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni. In attesa della sentenza viene ripercorsa la sua esistenza umana e artistica, ma soprattutto viene messa in scena la figura di un prelato inquisitore che, su ordine di Papa Paolo V, deve indagare su ciò che ha spinto il geniale artista a usare come modelli delle sue opere a tema sacro i reietti della società, tra prostitute, ladri e vagabondi. Quest’uomo, chiamato l’Ombra, deve venire a conoscenza di ogni dettaglio della trasgressiva vita di Caravaggio, con l’obiettivo di capire se il pontefice potrà, o meno, concedergli la grazie di continuare a vivere. 

Cinquantatre anni di gestazione e quattro di tormenti “caravaggeschi” per confezionare la propria visione cinematografica sul più geniale e ribelle pittore italiano, e non solo italiano. Così si è generata L’ombra di Caravaggio secondo Michele Placido, un lavoro che supera la biografia dell’artista e s’informa drammaturgicamente nel rapporto con un opposto e contrario, appunto la sua Ombra.  Se questo approccio duale nasce da un’idea degli sceneggiatori Petraglia e Signorile, la fiamma primigenia sul Merisi da parte di Placido si è accesa quando il regista e attore pugliese, appena arrivato a Roma, si mise a riflettere sotto la statua di Giordano Bruno, “immaginavo un dialogo tra Caravaggio e Bruno”.  I due ribelli, appunto, che profetavano “oltre”, volgendo lo sguardo verso “quelle persone, quegli ultimi, reietti ed emarginati, che nel caso di Caravaggio avrebbero ispirato i suoi santi. Un percorso il suo simile a quello che secoli dopo avrebbe fatto Pasolini”.  Il film, che vede nei panni dell’immenso artista lombardo Riccardo Scamarcio e in quelli dell’Ombra Louis Garell, si articola in un percorso ricco di flashback, tra fughe e ritorni, incontri e scontri, atto alla scoperta dell’uomo Michelangelo Merisi, prima che del pittore “attorno alla cui estetica già tutto si conosce”.   Nel suo kolossal ambizioso, sontuoso, di alto valore co-produttivo tra Italia e Francia (nel cast anche Isabelle Huppert nei panni della marchesa Costanza Colonna), assolutamente attento a restituire visivamente le atmosfere cromatiche e in chiaroscuro delle tele di Caravaggio, Michele Placido intende con chiarezza parlare alla coscienza contemporanea, mettendo in scena un uomo selvaggio, controcorrente, radicale eppure assolutamente mistico e soprattutto un avanguardista ante litteram,  un giovane fragile e carismatico, seduttore e sedotto da donne, ragazzi, ricchi e poveri. Eppure, nonostante l’intenzione eccelsa, questo ennesimo ritratto del genio che ha cambiato la Storia dell’arte moderna sembra non incidere negli animi quanto e come era nei desiderata dei suoi autori: troppo ben confezionato, raffinato, pulito.. lontano forse dal modus vivendi e operandi di Caravaggio stesso, e così diverso – solo per fare un esempio – dalle folgoranti e stridenti intuizioni di un artista come Derek Jarman che nel 1986 divise critica e pubblico col suo Caravaggio, dove Lena era una giovanissima esordiente dal nome Tilda Swinton. 

L’ombra di Caravaggio

Regia: Michele Placido

Cast: Riccardo Scamarcio, Louis Garrel, Isabelle Huppert

Italia/Francia 2022

Durata: 120′

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.