In evidenza Schede Cinema Filmcronache

MANI NUDE (Mauro Mancini)
Fino all'ultimo combattimento

GUARDA LA VIDEORECENSIONE:

LEGGI LA RECENSIONE:

La vendetta, l’espiazione, l’impossibilità di sfuggire al proprio destino: è su tali direttrici che si articola il secondo lungometraggio di Mauro Mancini, che torna alla regia dopo Non odiare. Proprio con il suo pregevole film d’esordio del 2021, Mani nude d’altronde condivide la stessa dimensione tragica nonché il tema del senso di colpa che la attraversa, così come la medesima focalizzazione sul rapporto che il Caso istituisce tra un uomo adulto e uno adolescente, e lo stesso attore protagonista, Alessandro Gassman, qui alle prese con uno dei personaggi più anomali della sua carriera. Tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato, con il quale la scrittrice milanese vinse il premio Scerbanenco, e assai liberamente adattato per lo schermo ancora una volta dallo stesso Mancini insieme a Davide Lisino, la vicenda del film guarda alla tragedia classica ma la declina in un curioso intreccio di revenge, prison e buddy-movie ed è imperniata sulla relazione Maestro/Allievo tra il cinquantenne Minuto e il giovanissimo Davide, costretti a incrociare i propri destini nello spazio recluso e claustrale di una nave, all’interno della quale vengono preparati giovani senza più speranza né futuro a combattimenti clandestini all’ultimo sangue.

Mani nude insomma da una parte conferma la predilezione del regista romano verso la tragedia greca, quella dove il disastro è già avvenuto, e i temi dostoevskiani del delitto e del castigo; dall’altra si segnala per la svolta decisa verso la dimensione astratta, già in nuce nel film d’esordio, che qui deflagra in una messinscena grafica e nella sua egemonia cromatica, attraverso le quali Mancini rimarca la sostanziale alterità della propria enunciazione dalla quasi totalità della produzione italiana contemporanea. Realizzando un’opera seducente e imperfetta nella quale, più che a Fight Club, come potrebbe a prima vista apparire, sembrano riflettersi le suggestioni di certo cinema dell’estremo oriente, quello sud-coreano di Park Chan-Wook ad esempio o quello prodotto dall’immaginario manga giapponese. Uno sguardo claustrofilo ma liberato insomma, capace di librarsi nello spazio circoscritto ma anche di trovare una propria compattezza, nonostante a tratti ceda alla tentazione estetizzante. E che è capace di mettere a frutto l’ottima performance di Francesco Gheghi, corpo duttile e vibratile che restituisce tutta l’angoscia esistenziale del proprio personaggio, e che qui trova la sua definitiva consacrazione.

GUARDA ANCHE:

LA CITTÀ PROIBITA (Gabriele Mainetti)

Scrivi un commento...

Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).