Il 22 luglio se vi capitasse di andare a messa potreste imbattervi in questo “prefazio”:
Nel giardino Egli si manifestò apertamente
a Maria di Magdala,
che lo aveva seguito con amore
nella sua vita terrena,
lo vide morire sulla croce
e, dopo averlo cercato nel sepolcro,
per prima lo adorò risorto dai morti;
a lei diede l’onore di essere apostola per gli stessi apostoli,
perché la buona notizia della vita nuova
giungesse ai confini della terra.
Sono parole recenti, del 2016, che almeno liturgicamente potrebbero seppellire la tentazione tramandata nei secoli di rappresentare il femminile in un unico modo fatto principalmente di peccato e penitenza. Dentro a questo orizzonte la rielaborazione è, o dovrebbe essere, ormai la cifra che accompagna la figura di Maria di Magdala.
In tal senso il film di Garth Davis seppur con i suoi difettucci che lasciamo evidenziare con dovizia anche a teologhi e teologhe – il genere dello studioso in questa disciplina sposta talvolta sensibilmente le prospettive –, si inserisce benevolmente in questa restituzione di consistenza storica oltre ogni equivoco risalente ancora al sermone di Gregorio Magno.
Nel 591 Gregorio, Padre della chiesa, aveva infatti in un colpo solo accomunato l’indemoniata alla peccatrice. Di Marie sempre si tratta… a ciò va aggiunta la convergenza dei vangeli canonici nei quali Maria di Magdala non trova una sua genealogia: non le viene di fatto riconosciuta quella “generatività della sua missione” come spiega bene la teologa Marinella Perroni. Nei secoli la questione si è, quindi, sufficientemente aggrovigliata e non sarà di certo un film a sciogliere un nodo che continua a produrre volumi e volumi in ambito teologico.
La Maria di Magdala interpretata da Roony Mara è senza dubbio inquadrabile nel ruolo – come ancora la definirebbe la Perroni – di “discepola di Cristo” che è di più di “apostola degli apostoli”. Non lo è soltanto con la dignità riservata al qualsiasi altro dei dodici, ma ancor più per il suo ruolo diremmo oggi strategico del durante e dopo Cristo. Un approccio di scrittura e di regia che troppo frettolosamente viene etichettato – anche nelle recensioni del film – come femminista. Quasi ogni tentativo di dar conto di una profezia al femminile dovesse ricadere obbligatoriamente in questo filtro interpretativo.
Se può servire al dibattito va detto che il film non nasconde i suoi intenti fin dall’incipit: nel fluttuare di un grembo uterino la stessa voce di Maria ci invita a pensare il regno di Dio come un granello di senape piantato – e qui viene il bello – da una donna. Seminato anche da una donna (non sappiamo se per primissima: tesi che il film spinge senza remore) e non solo dall’uomo, vocabolo certamente inteso a livello esegetico per essere umano ma sappiamo, al contempo, che alle donne la tradizione non ha lasciato chissà quale posto… Una prospettiva, quindi, del “kerigma” al femminile di quanto abbiamo ascoltato spesso e volentieri soprattutto al maschile.
Un obiettivo cinematografico che già nei suoi intenti si veste, quindi, di rischi e pericoli ma che ci pare coraggioso e meritevole di una possibilità pur con alcuni evidenti limiti che il pubblico saprà anche esteticamente cogliere. Anni fa Guido Chiesa ci provò con Maria di Betania e alcuni dialoghi suscitarono una sorta di “scalpore”, per non usare termini più intensi. Queste Marie le abbiamo sempre apprese soltanto remissive lungo la storia attraverso tanti linguaggi anche dell’arte. Forse delle “mirofore” dobbiamo comprendere ancora molte cose…
Di seguito, in questa prospettiva di servizio pastorale e culturale alle #SdC, mettiamo a disposizione una riflessione sul film di Francesco Giraldo, segretario generale di ACEC e attendiamo nei prossimi giorni una riflessione della teologa, sopracitata, Marinella Perroni.
(Arianna Prevedello – responsabile comunicazione ACEC)
Un film che riapre il dibattito sulla Chiesa delle origini
di Francesco Giraldo
Maria Maddalena è una delle figure che nella storia degli studi biblici rimane tra quelle più enigmatiche, ma anche nel contempo pregata come santa dalla Chiesa Cattolica. L’identificazione con una prostituta è frutto di una serie di equivoci (una visione nata probabilmente da un equivoco nella lettura dei Vangeli di Luca e di Giovanni, ufficializzata da Gregorio Magno nel 591 e rimessa da decenni ufficialmente in discussione dalla Chiesa). La sua comparsa avviene nel Vangelo di Luca come “una delle donne che assistevano Gesù con i loro beni”. Si narra che fosse posseduta da sette demoni e che da Gesù fu liberata. Ciò potrebbe significare che era colpita da un male (morale o fisico). Maria di Magdala fu una fedele seguace di Gesù. Fu la prima la mattina di Pasqua a cui il Cristo risorto apparve e la chiamò per nome. Per questo Papa Francesco ha reso più solenne la sua memoria equiparando la sua festa alla stregua delle solennità che celebrano gli altri apostoli: “l’Apostola degli Apostoli”. Questo profilo di donna noi vediamo nel film e il film spazza via in un sol colpo tutto quell’immaginario favolistico e negativo che potevamo avere di Maria Maddalena. Dobbiamo dimenticare la carica eversiva de L’ultima tentazione di Cristo con un sofferto Gesù interpretato da Willem Dafoe. Così vale per le tinte splatter e l’angoscia palpabile de La Passione di Cristo di Mel Gibson e anche l’immagine “pop” del Cristo con l’amata nel famosissimo musical Jesus Christ Superstar.
Maria Maddalena diretto dall’australiano Garth Davis (il regista di Lion), come annuncia il titolo stesso, sposta l’angolo prospettico e il fulcro del racconto dal figlio di Dio alla figura di una donna che entra in totale sintonia con Gesù e capisce in profondità il senso della sua predicazione. Gesù predicava il regno e la sua imminente venuta. Le caratteristiche del regno sono illustrate in varie parabole compresa la parabola del granello di senape, che viene narrata nell’incipit suggestivo del film (l’immersione nelle acque profonde della protagonista è molto simile a quella del film La Forma dell’Acqua, vincitore del recente Oscar). Maria Maddalena entra subito in sintonia con il senso profondo del regno predicato da Gesù, che è in contrapposizione a quel regno terreno che gli apostoli agognavano. Maria Maddalena non è un film religioso, si muove su dimensioni più spirituali e universali. L’adesione a Gesù, come l’adesione di ogni fedele, deve essere innanzitutto spirituale ed interiore. Il regno è vicino ed è così vicino che nasce nel cuore di Maria Maddalena. Film “femminista”. Non ha grande importanza. Sappiamo che all’alba del giorno dopo il sabato Maria M. – sola o con altre donne – (dipende dal racconto evangelico) vanno al sepolcro. Lo trovano vuoto e da quel “vuoto” nasce la loro fede nella Resurrezione. In una società dove la donna non aveva nessun credibilità “giuridica” sono quelle a cui la chiesa primitiva affida il messaggio più assurdo e “incredibile” che è quello della Resurrezione di Gesù. Pietro nel film accusa Maria M. di averli indeboliti, resi meno forti e più fragili.
È da allora che anche noi siamo più fragili. Il corpo mistico nasce dal sepolcro vuoto (Michel de Certeau). Senza il corpo di Gesù la chiesa primitiva, ma anche noi dobbiamo fare i conti. Senza corpo è impossibile fare lutto. Da allora lo cerchiamo e come ci dicono ripetutamente gli evangelisti assieme ai mistici moderni “Non so dove l’hanno messo” o “Se l’hai portato vai tu, dimmi dove lo hai messo”. Queste domande fondano il discorso apostolico della chiesa primitiva e dovrebbe fondare anche la ricerca della Chiesa attuale. Questo corpo va cercato ed edificato nella storia. È una Maria Maddalena “gnostica” come già qualcuno avanza? Non lo so. Comunque, in un contesto sociale e culturale post-secolare, come lo è il nostro, il film Maria Maddalena è un prodotto culturale che pone delle questioni vere e ha tutto il diritto e l’onestà intellettuale di porle. Da segnalare le musiche estranianti ed affascinanti curate dal talentuoso compositore islandese Jòhann Jòhannsson, scomparso prematuramente lo scorso 9 febbraio a Berlino.
Maria Maddalena e la logica del Regno
di Marinella Perroni
In un giorno due “uscite” dedicate a Maria di Magdala, un libro e un film, e ciò non fa che confermare l’interesse per un personaggio a cui i Vangeli – e in modo tutto particolare Giovanni – riconoscono il ruolo di protagonista, ma a cui anche la lunga tradizione successiva ha dedicato un’attenzione tutta particolare.
Data la grande autorevolezza del suo autore, il compianto cardinale Carlo Maria Martini, è probabile che il libro riscuoterà un successo decisamente superiore a quello che verrà riservato al film. Eppure, a parte un’evidente coincidenza di fondo tra le due opere, anche il film va preso molto sul serio.
Non per il suo specifico valore cinematografico, rispetto al quale non ho alcuna competenza per poter giudicare, ma per la capacità di delineare finalmente il personaggio di Maria a partire dai testi evangelici e non continuare meccanicamente a ripetere quanto una lunga storia dell’interpretazione, sia scritturistica sia artistica, ha contribuito a scolpire nella memoria storica dell’occidente cristiano, e cioè un’immagine totalmente adulterata della discepola di Gesù, prima apostola del Vangelo della risurrezione.
Il libro…
Per presentare il film, però, è bene forse prendere le mosse proprio dalla sua coincidenza con quanto affermato dal cardinale Martini. Il libro riprende un corso di esercizi spirituali che egli ha tenuto mentre era a Gerusalemme a un gruppo dell’Ordo virginum della diocesi di Milano alla fine del 2006.
A partire dall’accostamento tra Maria e la Sulamita del Cantico dei Cantici, caro alla liturgia, Martini presenta la figura della donna di Magdala
«come l’amante estatica, come colei che agisce appunto al di fuori di sé, al di fuori di tutte le misure umane, di tutte le convenzioni, di tutto il discorso del “politicamente corretto”, per compiere gesti di superamento e conoscere così il cuore di Dio, facendolo a sua volta conoscere» (29).
Mi sia permesso di dire che quasi alla lettera, le stesse parole potrebbero essere utilizzate a commento del filmdell’australiano Garth Davis che, giustamente a mio avviso, è stato definito più spirituale che religioso. Ed è forse proprio per questo che se anche se non avrà un grande successo di pubblico, meriterebbe invece di essere sfruttato almeno in quei circuiti in cui può favorire una sana divulgazione delle narrazioni evangeliche.
Il film: espressione del femminismo
Il film ha certamente i suoi difetti, perché prende quota lentamente, rischia di essere troppo didascalico e, in alcuni momenti, anche un po’ oleografico. Né si può pensare d’altra parte che il tema ingeneri alcuna suspense, dato che si sa benissimo come va a finire. Ha però il grande merito di rendere finalmente giustizia a questa donnaa cui l’annuncio della fede nel Messia risorto deve tanto, se non tutto.
E chi dice che il film è un agglomerato di luoghi comuni, non sa quello che dice, mentre chi dice che è espressione di un femminismo dell’epoca del #Metoo coglie qualcosa di molto importante. Infatti, la riabilitazione di Maria di Magdala, finalmente non più presentata come la peccatrice pentita voluta da Gregorio Magno (591), è stata resa possibile da un secolo di esegesi femminista che ha riaperto i faldoni ritenuti ormai definitivamente chiusi e depositati nell’archivio della memoria e obbligato a mettere in discussione l’immaginario occidentale, dominato da opere letterarie e artistiche spesso anche straordinarie ma, altrettanto spesso, del tutto lontane dai testi evangelici.
La teologia del Regno
Anche per Garth Davis, come per Carlo Maria Martini, Maria di Magdala è colei che «esce al di fuori di sé». Come per Gesù, che era considerato dalla sua stessa famiglia «fuori di sé» (Mc 3,21), la ricerca di un rapporto con Dio profondo e totalizzante porta Maria a mettersi al seguito del profeta di Nazareth, ma soprattutto a essere l’unica in grado di capire lo stretto rapporto che intercorre tra la sua persona e il suo messaggio. Non a caso il film si apre e si chiude con la parabola del granello di senape (cf. Mc 4,30-32 e par.) che, in modo quanto mai incisivo, enuclea la teologia del Regno e ne comunica l’autentica spiritualità.
Tra i discepoli che seguono Gesù, Maria è l’unica che arriva a coglierne il senso perché l’annuncio del Regno raggiunge appieno le sue aspettative e risponde al suo bisogno di un Dio in grado di far implodere dall’interno il sistema patriarcale, oppressivo per le donne, come per tutti i poveri, ma anche per gli israeliti costretti a sopportare la crudele occupazione romana.
Fino alla fine gli altri discepoli, invece, non capiscono e sperano, chi in un modo chi nell’altro, che il messianismo di Gesù si risolva in una rivoluzione intramondana. Il serrato raffronto tra Maria e Giuda esprime quanto solo lei, per dirla con Martini, ha avuto il coraggio di porsi «fuori di tutte le misure umane, di tutte le convenzioni». La rivoluzione messianica non è quella attesa da Giuda e dagli altri discepoli, perché non implica il passaggio da un potere a un altro, ma la liberazione da ogni forma di potere, perfino quello delle convenzioni sociali e religiose.
Maria di Magdala, vera discepola
Maria, che i Vangeli sinottici presentano, insieme ad altre, come colei che ha seguito e servito Gesù durante tutto il suo ministero (cf. Mc 15,41s e par.) e il Vangelo di Giovanni la presenta come colei che cerca (cf. Gv 20,15), è l’unica che sa pienamente farsi discepola di Gesù perché si fa plasmare dalla sua parola e capisce appieno il valore della sua attività taumaturgica.
Per questo Gerusalemme, luogo per tutti gli altri della grande disillusione, diviene per lei luogo della vittoria: Maria è l’unica in grado di emergere dall’abisso in cui la morte del Maestro ha fatto precipitare i suoi seguaci perché l’unica in grado di percepire che l’incontro con il Messia Risorto ormai si gioca tutto su un nome appena sussurrato.
Un nome che è percepibile solo da chi è stata in grado di capire la logica del Regno con l’intelligenza del cuore. Pietro, come conservato in alcune tradizioni apocrife, fa fatica ad accettarlo perché, come mostra proprio la sua visone delle implicazioni di esclusione collegate alla differenza sessuale, non ce la fa a svincolarsi dall’ideologia patriarcale, quella stessa ideologia che stritola Giuda e le sue aspettative religiose. Proprio per questo, forse, Maria Maddalena è un film più spirituale che non religioso, come sono più spirituali che religiose le narrazioni evangeliche.
Per approfondire:
- M. Perroni, C. Simonelli, Maria di Magdala. Una genealogia apostolica, Aracne, Ariccia (RM) 2016.
- E. Lupieri, Una sposa per Gesù. Maria Maddalena tra antichità e postmoderno, Carocci, Roma 2017.