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NON CI RESTA CHE VINCERE (Javier Fesser)
Quando la disabilità si fa lezione di vita

Marco è l’allenatore in seconda di una squadra di basket spagnola di alto livello. Arrogante e impulsivo, viene licenziato per aver litigato con l’allenatore capo durante una partita e, dopo essere stato sorpreso al volante in stato di ebbrezza e aver causato un incidente, viene condannato in tribunale a nove mesi di servizi sociali, che consistono nell’allenare la squadra di pallacanestro “Los Amigos”, composta da giocatori disabili tutt’altro che professionisti…

Un morality play tanto elementare nella descrizione delle vicende quanto efficace nella veicolazione del messaggio che reca in sé. Un messaggio, quello decoubertinianamente inteso come “l’importante è partecipare”, che sembrerebbe contraddire il titolo italiano del film di Javier Fesser, ma che anche nell’edizione originale (Campeones) contiene quello stimolo, sportivo e umano, non solo a “fare”, nel basket come nella vita, ma anche a “fare (del) bene”. Interpretato nel ruolo degli improbabili cestisti da veri disabili, dunque operazione di finzione prelevata direttamente dalla realtà, Non ci resta che vincere, nella sua programmatica coniugazione degli opposti (l’allenatore di grido, in crisi con sé stesso e a pezzi nella vita sentimentale, e il suo team di dilettanti allo sbaraglio, “grado zero” della società ma capaci di far aprire gli occhi e ossigenare le coscienze), non esce mai dal registro comunicativo che si è scelto di dare, scivolando via come acqua fresca, con piccole, esemplari lezioni di vita a far sorridere e commuovere. Come superare il timore di una doccia o la paura di salire in ascensore.

Intenzionato, fin dalle prime sequenze, a ribaltare i confini tra normalità e anormalità e a rimettere in discussione ogni pregiudizio sull’handicap, Non ci resta che vincere, campione d’incassi in Spagna con quasi 19 milioni di euro rastrellati al box office, procede spedito verso un happy end inevitabile, come in ogni favola che si rispetti, ma sincero e genuino. Un finale tonificante, maturato in due ore di proiezione grazie ad una sgangherata armata Brancaleone per la quale davvero non si può non tifare. Anche quando la sceneggiatura mette il pilota automatico.

Regia: Javier Fesser

Nazionalità: Spagna, 2018

Durata: 124′

Interpreti: Javier Gutiérrez, Sergio Olmo, Julio Fernández, Jesús Lago, José de Luna

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.