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Padri, madri e figli: legami familiari al RFF14
Molti i titoli dedicati al rapporto tra generazioni alla Festa del Cinema di Roma 2019

Padri, madri e figli sugli schermi della 14ª Festa del cinema di Roma. Un legame, quello generazionale, che ha scandito come leitmotiv non pochi titoli, impegnati a riflettere sui rapporti familiari, senza esimersi dal mettere in luce tensioni e contraddizioni, desideri e speranze.

Non del tutto riuscito, ma certamente interessante, Willow di Milcho Manchevski richiama alla memoria il film più celebrato del regista macedone, quel Prima della pioggia vincitore nel 1994 del Leone d’oro a Venezia. Anche qui, come allora, il racconto è frammentato in tre episodi, è scomposto a livello cronologico, non seguendo un preciso itinerario consequenziale pur contenendo alcuni elementi di raccordo tra le varie parti Nel primo segmento, ambientato nel passato, due giovani contadini che non riescono ad avere figli si rivolgono ad una anziana veggente; nel secondo, la stessa vicenda (la sterilità di coppia) viene trasportata nella contemporaneità; nel terzo episodio, la sorella della protagonista del precedente capitolo deve fare i conti con il mutismo incomprensibile del proprio bambino. Il fil rouge di Willow, dunque, è la maternità, o meglio il rapporto tra madri e figli, con i padri sullo sfondo. Interrogazione in immagini di stampo filosofico-sociale, il lungometraggio di Manchevski, pur rievocando stratificazioni culturali ancestrali, fa appello all’etica individuale e, non di rado, alla fede religiosa. Senza fornire risposte, ma alimentando (seppure con minore fascino emotivo) quella ricerca esistenziale in terra balcanica avviata con potenti riverberi in Prima della pioggia, portatrice di domande profonde, talvolta laceranti, sulle scelte da compiere.

È un po’ quello che accade in Trois jours et une vie di Nicolas Boukhrief, che ambienta nel giorno di Natale, in un paesino minerario al confine tra Francia e Belgio, un dramma a dimensione familiare. La scomparsa di un bimbo nei boschi delle Ardenne, che mobilita l’intera comunità locale in una ricerca senza esito, coinvolge direttamente un ragazzo, suo amico, l’unico a custodire il segreto della sparizione del piccolo. Indagine psicologica sui sensi di colpa, con il posizionamento del baricentro narrativo ‘in soggettiva’, sul ragazzo divenuto, quindici anni dopo, un giovane medico, Trois jours et une vie trattiene sentimenti e relazioni, liberatorie voglie di fuga e generose solidarietà. Introducendo nel cuore del film una tempesta devastante che si scatena sul villaggio, inondandolo di acqua, fango e detriti, facendo da potente detonatore ai conflitti interiori del protagonista.

Il rapporto tra padre e figlio ha occupato il focus narrativo di altre due pellicole in cartellone alla Festa di Roma: Il ladro di giorni di Guido Lombardi e Honey Boy di Alma Har’el. Nel primo, un ragazzino di undici anni che vive con gli zii in Trentino ritrova suo padre, arrestato sette anni prima in Puglia e ora uscito di prigione: il viaggio che i due compiono insieme lungo l’Italia, diretti al Sud, è scandito da incontri e ricordi, ma il film di Lombardi non dispone di una sceneggiatura adeguata allo scavo profondo nelle pieghe di una genitorialità distratta dalla criminalità e nei rivoli di un’infanzia negata da un modello paterno assente. Troppi i cliché, le semplificazioni e le forzature, ne Il ladro di giorni. E fuorvianti i frequenti cambi di ritmo (dal dramma alla commedia, dal presente al passato), con un Riccardo Scamarcio spesso fuori registro.

Discorso ben diverso per Honey Boy. La sceneggiatura scritta dal popolare attore Shia LaBeouf, ispirandosi alle proprie esperienze personali di giovane, talentuoso interprete figlio di un padre tossicodipendente e di una madre lontana, graffia e incide sulla carne viva. Gli ambienti (uno squallido motel alla periferia di Los Angeles), i sentimenti (la rabbia autodistruttiva che pervade fin dall’infanzia il ragazzo, ora divenuto adulto, ricoverato in un centro di disintossicazione per alcolisti) e le relazioni familiari (la dipendenza da un genitore instabile con il quale, nonostante tutto, tentare faticosamente una riconciliazione) attribuiscono forza, carattere e sostanza al film di Alma Har’el. Ruvido e doloroso, Honey Boy, sospeso come Il ladro di giorni tra ieri e oggi, ma dotato di tutt’altro spessore psicologico ed emotivo, scoperchia molesti fantasmi autobiografici, illuminando una quotidianità ferita con squarci di disinteressata fiducia, per poi ripiegare su (autentiche) lacerazioni esistenziali e (violenti) conflitti insanabili. Una rievocazione tanto più vivida quanto autentica, con LaBeouf a interpretare catarticamente sullo schermo il proprio padre.

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.