Cannes Cannes 77 Festival Filmcronache

PARTHENOPE
Vedi Napoli e poi sogna

Parthenope

Anna Maria Pasetti di Filmcronache recensisce da Cannes l’unico film italiano in concorso a Cannes 77: PARTHENOPE di Paolo Sorrentino.

Titolato come la sua protagonista, ovvero Parthenope, il decimo lungometraggio di Paolo Sorrentino è il primo incentrato su un personaggio femminile, delegato a incarnare nominalmente e allegoricamente la città natìa del cineasta. Secondo e ancor più evidente omaggio alla sua Napoli, Parthenope può considerarsi un dittico con il precedente E’ stata la mano di Dio, di cui è sotto vari aspetti il controcampo in un’ideale iconologia semantica a partire dalla carrozza che accomuna la prima scena di entrambi i testi. Se la vita della donna, raccontata dalla sua nascita nel 1950 fino al 2023, costituisce la linea narrativa cronologica del film, è quella simbolica a prevalere, tanto come imponenza suggestiva quanto come cifra formale inequivocabilmente riferita allo sguardo di Sorrentino.  

Bellissima e inafferrabile, incantevole e maledetta, arguta e confusa, la ragazza incorpora pregi e difetti di una Napoli magnifica quanto tragica che, ancor più della Capitale, è la vera Grande Bellezza secondo Sorrentino che, ancora una volta attinge a Fellini, ma in questo caso più al film Roma che non alla Dolce vita, già fonte di ispirazione per l’opera che gli ha consegnato il suo primo Oscar. 

Parthenope (film e personaggio) insegue l’epica di un’esistenza passionale dentro e contro la Storia, nell’imperturbabile ricerca della libertà, ma soprattutto di domande giuste e risposte pronte quale sintomo di un’intelligenza ribelle e mai sazia. La giovane interpretata dall’esordiente Celeste Dalla Porta esercita una seduzione irresistibile a chiunque, un fardello che però comporta solitudine, dolore, anche perfidia. In un mondo di concittadini restituiti come individui crepuscolari, autoriferiti, inermi e dediti al culto dei fantasmi, a sopravvivere è solo chi è dotato di ironia, qualità che pure salva Parthenope nel suo viaggio dal paradiso di Capri agli inferi miserabili dei vicoli, tra i misteri dei cavoni e gli amplessi dei camorristi.

Pur attingendo al proprio tesoro immaginifico, il Sorrentino di Parthenope sembra però qui incepparsi difettando in eccesso di formalismo simbolico, perdendo, specie nella prima mezz’ora, quella fluidità di scrittura e regia che solitamente lo distinguono. Il testo appare dunque la copia derivativa del suo sguardo più ispirato, appesantito da non poca autoindulgenza, arrovellato su se stesso nel suo altalenarsi tra istanti sublimi, non di rado conturbanti e disturbanti, e cadute iper-estetizzanti. Mancano insomma tanto la sincerità emotiva dell’autobiografico E’ stata la mano di Dio, quanto la forza prorompente de La Grande Bellezza per edificare un potenziale ed ennesimo sontuoso affresco corale.

 

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.