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PRIMA DANZA, POI PENSA – ALLA RICERCA DI BECKETT (James Marsh)
Finale di partita

Partendo dall’assegnazione del Nobel per la letteratura, nel 1969, da una notorietà giudicata “catastrofica” nel momento stesso del vittorioso annuncio in teatro, a Stoccolma, Samuel Beckett rievoca gli eventi salienti della sua vita in un dialogo immaginario con la personificazione della sua coscienza. Un alter ego antagonista attraverso il quale il drammaturgo irlandese fa i conti con se stesso, ‘espiando’ le colpe commesse in passato, lasciando emergere i temi che hanno caratterizzato le sue opere, rievocando, sullo schermo, fatti e persone della sua infanzia, giovinezza e maturità: la madre, autoritaria e anaffettiva, l’incontro con Joyce, per il quale lavorò come traduttore, l’amico e collega Alfy, che lo coinvolse nella resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale, la moglie Suzanne, conosciuta in ospedale, l’amante Barbara, giornalista della Bbc…

Terzo biopic dopo La teoria del tutto (2014) e Il mistero di Donald C. (2018), il nuovo lungometraggio di James Marsh, come i due precedenti, si concentra molto più sulla vita ‘emotiva’ del protagonista che su quella strettamente professionale. Anche in Prima danza, poi pensa, infatti, la figura di Samuel Beckett viene riassunta da situazioni private, relazionali, intime, estemporanee: suddiviso in capitoli, dedicati ciascuno ad un incontro fondamentale per l’autore di Finale di partita, il film, nella sua narrazione ‘a blocchi, sembrerebbe accogliere il modello non lineare del “teatro dell’assurdo”. Una consecutio irregolare, scomposta, che, pur privilegiando gli stati d’animo soggettivi al riscontro oggettivo dei fatti, procede in realtà con andamento cronologico, restituendo solo in parte, nei lunghi flashback, la poetica rarefatta, intimista, ombrosa e pessimistica di Beckett, sostenuta da una personalissima capacità osservatoria dell’essere umano e nutrita di limpidi guizzi (auto)ironici.

Se, da un lato, attraverso il ricorso al ‘mondo parallelo’ dell’analisi interiore (esplicitata dalla presenza dell’alter ego) e l’inserimento di squarci onirici il film pare allontanarsi dai canoni strutturali tipici del biopic, assumendo contorni originali e persuasivi, dall’altro, però, Prima danza, poi pensa (citazione estrapolata da Aspettando Godot) non imbocca fino in fondo la strada alternativa al tradizionale racconto biografico, fermandosi sulla soglia della forma stilistica adottata in ogni suo lavoro da un gigante della letteratura del Novecento, il cui fascino intellettuale trova comunque riscontro nella sensibile performance attoriale di Gabriel Byrne.

Meno audace di quanto ci si sarebbe aspettati fin dalla surreale sequenza d’apertura (la rocambolesca uscita di scena del drammaturgo alla cerimonia del Nobel, con la busta con il cospicuo assegno bruscamente ritirata sul palco, la scalata alle quinte del teatro, la salita in una misteriosa galleria e poi l’ingresso in un antro polveroso), il film di Marsh, privo di sottigliezze e sfumature, si limita a far prevalere gli errori, i rimpianti, le nostalgie dell’uomo sulla tempra e sull’energia creativa dello scrittore, la mestizia e il senso di colpa sull’umorismo cupo ma vitale. Un ritratto, dunque, non opaco, ma scaturito da una sceneggiatura, firmata da Neil Forsyth, assai convenzionale. Troppo piana e priva di spigoli per risultare davvero autentica e coinvolgente.

Regia: James Marsh

Interpreti: Gabriel Byrne, Sandrine Bonnaire, Maxine Peake, Aidan Gillen

Nazionalità: Usa, 2023

Durata 100’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.