Una frase molto in voga a Hollywood, e attribuita a più d’un boss degli studios, recita: “Nessuno sa niente”. Hai voglia a pianificare, progettare, fare pronostici, ideare scenari su produzioni, cast, budget, piani di marketing. Alla fine, che un film sarà un successo o meno non lo sa nessuno.
Tale massima, sempre vera, tanto più si deve applicare alla situazione attuale – che ormai dura da quasi un anno – e alle previsioni a breve e medio termine. Nei folli e surreali mesi che abbiamo vissuto, in tanti hanno sfoggiato certezze insensate che la realtà ha poi sconfessato. Con l’assoluta buona fede dei ‘tifosi’, troppi addetti ai lavori erano certi che la sola riapertura dei cinema – il 15 giugno, per decisione del ministro della Cultura Franceschini: un altro azzardo, non essendoci grandi film in uscita – avrebbe riportato la gente davanti a un grande schermo. Non è andata così, per tante ragioni: la disabitudine (erano passati solo pochi mesi, ma con una pressione fortissima di altre modalità di visione casalinga), la voglia di stare all’aria aperta dopo la fine del lockdown primaverile (infatti le arene estive hanno funzionato meglio), la paura del contagio, ma soprattutto la mancanza assoluta di film forti hanno reso molto difficile quel periodo. In cui non sono mancati segnali interessanti, ma con numeri complessivamente davvero poco significativi, e con l’aggravio di costi maggiori per chi apriva la saracinesca.
2020, un anno da incubo
Il 2020 ha visto concretizzarsi i peggiori incubi, in tutti i campi della vita. Chi ama il cinema, fra mille tragedie e drammi, ha vissuto anche quello della chiusura di tutte le sale, seguita da riaperture solo parziali e poi nuove chiusure… Ad oggi non si sa quando si potrà ripartire: in teoria a inizio marzo, secondo l’ultimo dpcm, ma al momento è impossibile saperlo con certezza. Della situazione ne hanno approfittato le piattaforme web, già in crescita, che sono aumentate e hanno visto esplodere i propri numeri (anche se il fenomeno riguarda complessivamente pochi milioni di italiani: non ci curiamo qui della pirateria, che pure è favorita in parallelo dalle nuove modalità di fruizione on line).
È un trend che prevede di proseguire in futuro. Se prima lo spauracchio dei gestori di cinema era una Netflix sempre più aggressiva, anche per una politica di acquisizione esclusiva di alcuni titoli importanti non disponibili per le sale (o a condizioni negative per loro) ma anche di produzione di opere nazionali (spesso modeste) riservate agli abbonati, con la pandemia e la reclusione forzata a casa chi ama vedere film ha cercato altre forme di fruizione. Pianificato da tempo, l’arrivo anche in Italia di Disney + il 24 marzo è stata una fortuna per il colosso americano, che ha massimizzato l’interesse delle famiglie e ha garantito loro un’offerta ‘sicura’ e quantitativamente ricca. Anche se le novità importanti sono state solo due. La prima è stata a inizio settembre Mulan, penalizzato però dalla strategia (fallimentare) di offrirlo inizialmente solo in modalità “premium”, cioè facendo pagare un ‘biglietto’ di ben 21,99 euro oltre al costo dell’abbonamento mensile; è ipotizzabile che la maggior parte degli abbonati abbia aspettato il passaggio in catalogo, pochi mesi dopo. E infatti a Natale la seconda uscita top, Soul, è avvenuta senza sovrapprezzi. E il film è diventato in quei giorni l’argomento di maggior conversazione sui social media.
Ma sono tanti i film importanti che, impossibilitati a uscire al cinema, sono stati proposti da Amazon Prime, Netflix (l’atteso Mank), Sky solo per citare le destinazioni principali (per Soul la Disney aveva peraltro deciso l’uscita on line a sale ancora aperte, suscitando grandi polemiche); per ultime le commedie natalizie 10 giorni con Babbo Natale con De Luigi e Abatantuono, In vacanza su Marte con Boldi & De Sica, Tutti per 1 – 1 è per tutti con i moschettieri Favino & C. Senza contare i tanti titoli, soprattutto d’essai, finiti in piattaforme anche nate in questi mesi: tra queste, da sottolineare MioCinema e IoRestoinSala che sono collegate a sale cinematografiche e prevedono che una parte degli introiti dei “tickets” digitali vadano ai cinema (ma i loro numeri sono molto bassi).
All’estero, non ne parliamo: negli Stati Uniti ha fatto rumore la decisione di Warner, dopo Wonder Woman 1984, di prevedere per tutto il 2021 le nuove uscite in contemporanea tra la propria piattaforma Hbo Max e i cinema (numericamente molto ridotti: da mesi sono chiuse le sale in molti Stati e in particolare a Los Angeles e New York, le due piazze principali). In futuro altri potrebbero avere la stessa tentazione, negli Usa come in Europa. D’altra parte è da sottolineare come importanti film, italiani o internazionali, siano stati congelati in attesa della riapertura dei cinema: i blockbuster No Time to Die (nuovo film di James Bond), Black Widow, Fast & Furious 9, e poi Si vive una volta sola di Carlo Verdone, Tre piani di Nanni Moretti, Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno, Freaks Out di Gabriele Mainetti, Diabolik dei Manetti Bros. e Supereroi di Paolo Genovese.
La situazione generale ha portato ulteriore attenzione ad alcuni media on line che già esistevano, ma con risultati poco più che sperimentali, a parte singole attività in diretta: i portali dei due principali gruppi televisivi, RaiPlay e Mediaset Play, prevedono (gratuitamente) sempre più film in catalogo; dai titoli proposti dalle proprie reti che transitano per alcuni giorni sul portale a titoli ‘fissi’, vecchi classici ma anche film recenti e perfino nuovi. Su RaiPlay, infatti, sono uscite tra maggio e giugno anche alcune opere inedite, la cui uscita in sala era saltata, tra cui il pregevole Magari di Ginevra Elkann che aveva inaugurato il Festival di Locarno 2019. E sono proprio i festival un altro fronte che si è spostato, giocoforza, dalla presenza al web: a parte la Mostra di Venezia, che ha scommesso con coraggio (e fortuna, inserendosi in un raro momento di forte riduzione del contagio) su un’edizione ridotta ma ‘normale’, sono numerosi quelli più o meno grandi e importanti che hanno messo in atto una special edition virtuale. E il 2021 inizierà con Berlino on line: ma solo per addetti ai lavori, per il pubblico si spera in una replica in presenza a giugno, magari all’aperto.
Sono state, quelle cui abbiamo assistito, per la maggior parte scelte obbligate. Ma l’impressione e in qualche caso il timore di molti addetti ai lavori, in particolare dell’esercizio, è che il 2020 possa aver suggerito modalità nuove che possano emarginare o escludere la sala cinematografica. Cosa vieta alla Disney di ripetere in futuro la soluzione Mulan o Soul (variando la strategia a seconda della appetibilità del titolo) non solo per i propri film di animazione ma per gli altri brand di cui dispone, dai film Marvel a nuovi episodi saga di Star Wars? La riduzione, se non annullamento delle finestre, tra sala e successivi sfruttamenti, per quanto in via temporanea per film azzoppati o bloccati dalla pandemia, non indica soprattutto alle major una strada che in fondo stavano cercando di aprire da anni? Senza contare i massicci piani di produzioni ad hoc di Disney +, Netflix ecc. Tutto ciò accompagna il grande enigma di fondo: il pubblico tornerà a frequentare il cinema come nell’era pre-Covid (sui livelli molto forti come negli Usa o già poco brillanti come in Italia, anche se eravamo da oltre un anno in una fase di ‘alta marea’)? E se sì, quanto tempo ci vorrà? Bisognerà aspettare almeno l’auspicata “immunità di gregge” o si può ragionevolmente sperare che tra pochi mesi, con le opportune precauzioni, le sale tornino a riempirsi?
Scenari, timori, speranze
Sicuramente sono interrogativi difficili da sciogliere, di fronte alla precarietà dell’intera società. Personalmente, ci sembra molto ragionevole pensare che il primo passaggio sia superare l’emergenza sanitaria: inutile farsi illusioni come nei mesi scorsi, quando sollevare dubbi in qualche dibattito (on line, ovviamente) equivaleva a farsi tacciare di disfattismo da ottimisti a prescindere. Al cinema, a parte i super cinefili e affezionati che però non sono in numero tale da permettere la sostenibilità del sistema (e, salvo rarissime eccezioni, nemmeno di una singola sala), le persone ‘normali’ ci vanno con regolarità per svagarsi, quindi se sono tranquille. Andarci con gel, mascherine e distanziamenti non attira grandi folle (peraltro le capienze sono forzatamente ridotte): è un dato di fatto, nonostante i grandissimi sforzi e la serietà messa in campo da proprietari e gestori. Senza contare l’angoscia generale, le migliaia di morti, le preoccupazioni per il presente e per il futuro. Vero, la vita non si ferma e si deve provare a convivere con il contesto drammatico: ma è più facile dirlo che farlo, nei confronti di un’attività che, giriamola come vogliamo, fa parte del tempo libero. Alla spesa non si può rinunciare, agli ‘svaghi’ (anche intellettuali e di grande spessore culturale, intendiamoci) purtroppo sì.
Augurandoci che, grazie alle vaccinazioni e all’immunità, il numero dei contagi crolli rapidamente – da maggio? da settembre? – per poi iniziare l’uscita definitiva dal tunnel, è possibile ipotizzare cosa succederà dopo? Proviamoci. Dal punto di vista delle cosiddette “window”, che erano da anni oggetto di riflessione critica da parte della distribuzione e di difesa serrata dall’esercizio, immaginiamo che non si potrà più imporre “distanziamenti” eccessivi tra le uscite in sala e i passaggi successivi, anche perché sarebbe una diga pronta a crollare velocemente: se la Disney ha già ‘in casa’ la soluzione per arrivare potenzialmente a tutto il pubblico, conviene non tirare troppo la corda e proporre soluzioni ragionevoli. O meglio, sperare che in America – inutile nascondersi la verità: le strategie si fanno lì, da sempre: si pensi alla rivoluzione digitale che ha pensionato la pellicola – si mettano d’accordo i principali soggetti del mercato, per una rimodulazione delle “finestre” che possa non essere penalizzante per la sala, per mantenere quella funzione di vetrina che serve a tutti.
Proprio quest’anno di ‘buco nero’ dovrebbe infatti, paradossalmente, aver convinto gli scettici che la sala cinematografica ha una potenza comunicativa insostituibile in determinati casi: l’uscita in contemporanea in un forte numero di strutture permette una diffusione del ‘messaggio’ che nessun altro caso, per quanto eclatante, è riuscito a emulare. Nemmeno Soul: numeri non ce ne sono, ma l’impressione è che abbia comunque raggiunto molti meno spettatori potenziali di quanto avrebbe potuto avere al cinema. I dati per singolo titolo sono infatti un segreto ben custodito da tutte le piattaforme (e si intuisce bene il perché), che se crescono molto come platea complessiva non riescono (ancora) a generare numeri di audience paragonabili a quelli di un successo cinematografico. E non si creda che i film che ‘fanno fatica’ e di solito escono in pochi cinema possano avere per forza vita migliore con uno sfruttamento in teoria capillare, casa per casa: generare un livello di comunicazione accettabile in un mondo subissato di proposte e ormai molto frammentato (non ci sono più solo Sky o Netflix, appunto) richiederebbe investimenti proibitivi. Le pur ridotte, ormai, campagne di uscita per il cinema sommate alle comunicazioni dei singoli esercenti, alla copertura stampa e al passaparola del pubblico sono molto più efficaci.
Dunque, è proprio sulle peculiarità della sala che dovrà concentrarsi il tentativo di riscossa: gli esercenti italiani negli ultimi anni hanno investito molto – prima con il passaggio al digitale e poi anche grazie alla legge voluta dal ministro Franceschini nel 2016 – sulle proprie strutture, sempre più belle, comode e tecnologiche. Chi non lo ha fatto, ha sofferto in passato e rischia di non avere un futuro. Chi crede in questo aspetto, che differenzia il cinema anche dalla migliore proiezione casalinga, continuerà a ottenere risultati. Non solo: molte aziende di esercizio lavorano tanto e bene sulla comunicazione e sull’organizzazione continua di eventi, calibrati ovviamente sulle dimensione delle proprie realtà (la monosala, la multisala di città, il multiplex). È stata una politica intelligente per chi l’ha fatta in questi anni: non basta solo ‘piazzare’ i film sui propri schermi; occorre inventarsi eventi, incontri, rassegne. Diverse per taglio e dimensione, ma con la stessa esigenza: attirare pubblico diversificato, non solo nel weekend ma anche nel resto della settimana.
La base però è il prodotto. E quindi per la ripartenza occorrerà ricostruire quell’alleanza tra esercizio, distribuzione e produzione che nel 2019 – pur con qualche eccesso retorico – aveva dato promettenti risultati iniziali sull’annoso punto dolente dell’estate (che nostalgia di quando i problemi erano quelli…). E che servirà per convincere le grandi aziende a fissare calendari certi per l’ora X della ripresa reale. I mesi scorsi, con prodotto unicamente italiano o da festival a parte i ‘mini blockbuster’ Tenet e After 2, sono un monito per il futuro.
Per ripartire potranno però servire, inizialmente, anche alcuni titoli passati nelle piattaforme e che non sono da considerarsi affatto sfruttati (mai pensare che il mondo si esaurisca in quello che conosciamo: se questi servizi aumentano i loro abbonati e ci sono i ‘fanatici’ pluriabbonati, tanti altri italiani non hanno ancora confidenza con loro), sia pure a condizioni particolari per l’esercizio. In seguito, sarà forse da studiare qualche modello particolare per permettere di utilizzare i film che passano su Amazon o Netflix senza troppe barricate (ma non è facile venire a patti con questi soggetti). Il vero nemico è il divano, ovvero la tendenza a non uscire di casa e a farsi bastare tutto ciò che si trova su schermi e device casalinghi (per inciso: quest’anno è tornata a crescere la pirateria, a causa di copie digitali perfette subito disponibili). Ed è probabile che il 2020-2021 vedrà crescere il numero degli spettatori persi definitivamente e dei disinteressati totali al mondo sala. Ma ci sarà anche l’effetto opposto: dopo tanta reclusione, la voglia di uscire e di libertà potrebbe essere intercettata, tra le tante offerte che verranno proposte, anche dal cinema purché la produzione mondiale sia nel frattempo in grado di produrre grandi storie per grandi platee a far da traino a tutto il cinema.
Ma crediamo che ci siano vaste aree di intersezione tra il pubblico del cinema e delle piattaforme: chi consuma tanto audiovisivo, oltre a miriadi di serie tv e di film spesso deludenti proposti da Netflix e Amazon (diciamolo: le delusioni, anche ‘d’autore’, hanno finora superato abbondantemente le riuscite; quando sarà chiaro che, per esempio, la ‘carta bianca’ che Netflix assicura agli autori è spesso un boomerang?), è potenzialmente interessato anche al grande schermo, magari con frequenze inferiori che in passato e solo per determinate tipologie di film; sempre più avranno fortuna i film ‘da cinema’ (non necessariamente solo quelli spettacolari, anzi), con una fisiologica e anche sana riduzione dei numeri delle uscite perché non avrà più senso proporre alcuni titoli da riservare ad altre fruizioni.
Ma a un pubblico curioso e dinamico si dovranno proporre modalità e percorsi innovativi, che prevedano anche un rimescolamento delle tempistiche. Se la sala dovrà rimanere una vetrina, in determinati casi si potrà anche rovesciare il paradigma e recuperare titoli che magari le piattaforme non hanno saputo valorizzare e potrebbero avere una seconda vita con il pubblico cinematografico. O anche, in determinati casi, ipotizzare anteprime (come per alcune serie tv) o contemporanee che possano creare eventi speciali globali, in accordo anche con i giganti del web; ce ne sono state già in passato, in un clima di guerra che potrebbe diventare sinergia. Ovviamente, a condizioni commerciali altrettanto innovative: pensare che gli esercenti debbano accettare le rivoluzioni dovendone pagare sempre il costo non serve a nessuno. Ci ripetiamo: ogni businessman dovrebbe aver capito che senza la sala cinematografico questo settore è più povero (l’incasso di Avengers: Endgame o di Tolo Tolo, provate a farlo con le piattaforme…).
Una storia antica… un futuro possibile?
Certo, quello che stiamo provando a fare è uno slalom tra sensazioni, previsioni e speranze. La nostra, di inguaribili appassionati della sala buia, è che il nostro amato e vecchio cinema, che ha da poco compiuto 125 anni – un secolo e un quarto! – nel momento peggiore, con le sale chiuse e foschi scenari all’orizzonte, si riprenda in fretta e soprattutto nel migliore dei modi. A noi pare che la voglia di cinema non sia sparita affatto: in fondo, appena c’è stata la possibilità – anche nei pochi mesi di riapertura – si sono visti alcuni barlumi di vitalità, come il richiamo dei già citati Tenet e After 2 (successi relativi ma importanti come risposta ‘affettiva’ di un buon numero di persone che si sono precipitati a vederli fin dal primo giorno) o la realizzazione di piccoli eventi e rassegne (l’inaugurazione della Mostra di Venezia in diretta nei cinema, i film di Venezia a Milano e Roma, pur in comprensibile calo rispetto al passato, ma anche iniziative di singoli cinema). I dubbi sono enormi: sulla futura risposta del pubblico, sulla qualità dell’offerta produttiva, sui modelli economicamente sostenibili. Ma la battaglia è aperta: in fondo, il cinema è stato dato morto così tante volte, dalla nascita della tv in poi…
Permetteteci però di chiudere con una nota di speranza, assolutamente personale e quindi senza alcuna pretesa ‘scientifica’. Si dice sempre che il problema siano soprattutto le nuove generazioni. A chi scrive, da qualche tempo impegnato nel mondo della scuola, è capitato di recente di raccontare proprio della nascita del cinema una terza media e di far vedere i primi ‘filmini’ dei Lumière, spiegando come quell’invenzione si inserisse in un periodo di grandi speranze tra fine ’800 e inizio ’900, sul mondo e sull’uomo, poi contraddette dalla tragedia della Prima guerra mondiale. Quei ragazzi, incuriositi dai Lumière e da Meliès, sono stati per mesi terminali di consigli e proposte di film, recenti e meno recenti, che hanno dimostrato di apprezzare molto e di voler approfondire in incontri e laboratori. Poi, quando si pensa a possibili festeggiamenti dell’esame di terza media (a giugno si potrà fare qualcosa di bello?), l’idea di andare tutti insieme in un cinema li entusiasma. Altro che il divano: se il loro professore li invitasse a vedere un film a casa sua, non sarebbe la stessa cosa… Nonostante i tempi duri, finché un bambino o un ragazzo – bombardato da mille proposte – si emozionerà ancora di fronte a un film e all’idea di tornare in quella sala buia, c’è ancora speranza.
Antonio Autieri
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