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QUEER, la videorecensione
Alla ricerca dell’amore totale

Queer

Anna Maria Pasetti recensisce Queer di Luca Guadagnino con Daniel Craig. Opera presentata a Venezia 81.

Come può un uomo che riesce a vedere e sentire gli altri non essere triste? È attorno a questa esistenziale domanda formulata da William Borroughs in uno dei suo diari prima di morire che Luca Guadagnino ha edificato la sua trasposizione cinematografica di Queer, l’omonimo secondo e tormentato romanzo incompiuto del grande scrittore americano, scritto tra il 1951 e ’53 ma pubblicato solo nel 1985.

Interpretato da un intenso Daniel Craig nel ruolo dell’iconico protagonista, William Lee, il 9° lungometraggio di finzione del cineasta palermitano si presenta quadripartito in capitoli ma soprattutto diviso in due parti, similmente ma con intenzionalità diverse dal libro a cui si ispira. Se la prima porzione del film aderisce al romanzo con una certa fedeltà, la seconda si origina nella sceneggiatura di Justin Kuritzkes pensata insieme a Guadagnino espandendo e traslando il viaggio nella giungla equadorena dei due protagonisti in un’ immaginifica osmosi corporale dovuta all’assunzione dello yage, un potente allucinogeno tropicale dalla ricerca del quale Lee è ossessionato.

Ciò, che intensifica la storia d’amore tra i due personaggi, si motiva nella volontà di Guadagnino di cambiare di segno al tono narrativo di Queer, ovvero da quello ironico e distaccato di Borroughs a uno decisamente melodrammatico a tratti malinconico, rispondendo così al quesito da cui il progetto stesso ha avuto origine. Un romance queer, dunque, di americani che hanno scelto il Messico per fame patria di libertà sessuale ma anche e soprattutto a diventare dei tossicodipendenti senza sentirsi criminali.

Se Lee, alterego di Borroughs, è l’incarnazione di tutto questo, nello sguardo di Guadagnino si fa anche simbolo di tragica e profonda solitudine. Opera di lunga durata riuscita a metà, dove solo nella seconda parte si innalza la visionarietà cinematografica del regista, Queer è un testo altalenante, forse perché parzialmente prigioniero della sua fonte – specie nella prima ora e mezza – o semplicemente perché sovraccarico di urgenze quanto ambizioni espressive.

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.