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RUSSIANS AT WAR, la recensione
Un film tra le prime linee del fronte russo

russians at war

La giovane regista Anastasia Trofimova, si fa accogliere tra le prime linee del fronte russo per portare una testimonianza sulla guerra in Ucraina. La Mostra del Cinema di Venezia presenta fuori concorso, dunque, un film russo su questo tema che dialoga con Songs of Slow Burning Earth dell’ucraina Ohla Zhurba che offre la prospettiva del suo paese.

Si tratta di una scelta che è stata molto criticata ma che è meritoria: mostrare le due parti del conflitto è sempre la scelta più corretta e più utile per comprendere di più. I documentari infatti, benché possano sembrarlo, non possono mai essere pienamente oggettivi e anche solo selezionare il girato da mostrare è una scelta che richiede un atto spesso di natura anche ideologica o politica.

Russians at War ha attirato molte polemiche. Per quanto l’autrice spieghi nel film di essersi intrufolata al fronte grazie alla complicità e la tolleranza di alcuni soldati e senza il permesso governativo, il film è stato accusato di essere troppo filorusso. Ma le accuse paiono infondate. È vero che, mostrando il fronte russo, sono più le violenze subite ad essere al centro, e sono rappresentati nella loro crudezza bombardamenti, missili, corpi che rientrano al campo menomati.

Ma è la guerra che vediamo nel suo cuore, e la guerra è orribile sempre, da qualunque parte stia la ragione. Il film lo dimostra, facendo vedere soldati, cioè ragazzi o uomini con famiglie che li aspettano a casa, che perdono tutto. In nessun caso si ha la percezione di essere in una guerra giusta (ammesso e per nulla concesso che ne esistano), e molto raramente i soldati dimostrano di pensarlo. Il più delle volte sono persone che sono andate in guerra per soldi, senza conoscere gli effettivi motivi di un conflitto che mette a repentaglio continuamente le loro vite, dovendo andare incontro poi oltre ai rischi anche alla beffa di non essere più pagati da un certo momento in poi e comunque di non poter rientrare dalle loro famiglie. Tutto questo difficilmente può essere inteso come propaganda filorussa.

Certo, tra quei soldati c’è anche chi invece è convinto delle ragioni della guerra che sta combattendo e accusa i nemici di crimini spesso esagerati, come è ovvio per chi crede in una ideologia che comporta la distruzione dell’avversario. Ma ascoltarli fa bene almeno a uno spettatore occidentale perché fa capire l’aberrazione anche ideologica del governo russo.

Alla base del film resta la crudezza delle immagini, la disperazione degli uomini, la diffusione della morte cruenta, che ha un solo messaggio: che la guerra, questa come tutte le altre, ha il solo effetto di portare distruzione ovunque.
Un film che fa discutere, in fondo, è un film che va visto.

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani