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BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI, la recensione
Come dare voce al non umano?

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Recentemente al centro del dibattito culturale c’è il problema di come dar voce al non umano. È un’esigenza che si lega alla crisi climatica e alla sua comprensione più profonda: se siamo sempre concentrati sull’umano e in particolare sull’individuo non possiamo neppure comprendere le ragioni profonde della crisi ambientale e quindi è impossibile uscirne. La gran parte della saggistica oggi si focalizza infatti su altri aspetti dell’ecosistema e in particolare sulle piante.

Questo documentario di Massimo d’Anolfi e Martina Parenti prova a fare di più, ovvero a dare spazio ai tre mondi che danno il titolo Bestiari, erbari, lapidari ovvero il regno animale, vegetale e minerale. Il progetto è ambizioso, anche nella misura (il film dura 206 minuti), ma soprattutto negli intenti: non si tratta solo di vedere e documentare presenze che in fondo conosciamo, si tratta di dar conto di uno sguardo altro su mondi che ci sono sempre vicinissimi ma che non abbiamo mai imparato a guardare; manomettere l’ottica antropocentrica per far parlare, appunto, il non umano.

In realtà le intersezioni sono molte e forse il non umano non si dà senza la sua intersezione con l’umano, come fa capire anche la stessa espressione, oggi particolarmente in voga, di “Antropocene” ovvero un’epoca in cui tutto è dominato e condizionato dall’uomo. Così per esempio la seconda sezione è ambientata nel giardino botanico di Padova, dove le persone si prendono cura delle piante. Ma per questo gesto è necessario rispetto e comprensione dell’alterità. Oppure per gli animali si percepisce un tempo in cui la caccia e la cattività delle bestie si è trasformato in rispetto.

I ritmi sono lenti: se si vuole risemantizzare ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi ci vuole tempo, bisogna reimparare a guardare, rileggere il senso di un albero, di una pietra in una cava, di un cane sul lettino operatorio di un veterinario. Tempo e pazienza. Ma l’obiettivo vale lo sforzo perché il film ricolloca l’uomo in uno spazio misterioso, ci dà occhi nuovi per guardare la Terra.

Non tutto funziona, e forse ciò che meno si addice al film è anche ciò che è meno rigoroso e intransigente, come quando attraverso le parole di studiosi ci si vuole dare la morale della favola, essere più espliciti, ma le parole sembrano banalizzare l’operazione. Meglio fissare una pianta trapiantata con lentezza, soffermarsi su pareti minerarie che si sfaldano, penetrare lo sguardo di un animale sofferente. Questo è quello che ci chiede di fare il film, non serve altro.

Cosa ne pensate della recensione di Bestiari, erbari, lapidari?Fatecelo sapere nei commenti!

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani