Ryuichi Sakamoto è un prolifico musicista e compositore giapponese, noto soprattutto per la contaminazione tra le sonorità orientali e occidentali. Gli appassionati di cinema ricorderanno soprattutto le colonne sonore di film come L’ultimo imperatore di Bertolucci o, più recentemente, Revenant di Alejandro Gonzales Inarritu.
In questo film lo seguiamo in alcuni momenti della sua vita quotidiana, mentre cerca i suoni giusti, li capta dalla natura o li produce al pianoforte. Ma la sua storia si incrocia coi grandi temi della contemporaneità come l’incontro e lo scontro tra natura e tecnologia, con la cronaca recente, come quando si reca sui luoghi colpiti dallo tsunami del 2011 che danneggiò la centrale nucleare di Fukushima, e anche con più piccoli drammi personali come il tumore che lo colpì nel 2014. Molto in questo tipo di pellicole dipende dalla capacità del protagonista di rendersi empatico per lo spettatore, e Sakamoto ci riesce senz’altro. Nei suoi occhi e nella sua voce traspira una serenità costante, pur nell’inquietudine necessaria della ricerca artistica. E nel suo sorriso si vede l’espressione stupefatta del bambino che guarda il mondo, cerca di captarne i suoni con corde sensibilissime, come quando in terrazzo si mette in testa un secchio per sentire meglio il rumore della pioggia. Eppure non è mai enfatico, esclamativo, sempre discreto, umile nella saggezza, persino quando cerca il rumore perfetto, al Polo Nord, lo fa senza la falsa solennità di certi moderni e improvvisati falsi profeti.
Al regista non resta che assemblare, col compito difficile di trovare un equilibrio tra musica, parole e immagini, un equilibrio per nulla scontato per chi sembra poter trasformare in musica qualsiasi cosa. Un compito difficile, ma infine assolto con sapienza, in questo che certamente è un film per appassionati, ma non solo.