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SE LA STRADA POTESSE PARLARE (Barry Jenkins)
L'amore sopra ogni cosa

Harlem, primi anni ’70: “Tish” ha 19 anni e sogna di sposarsi con il fidanzato “Fonny”. Tuttavia quando lui viene arrestato per un crimine che non ha commesso, la ragazza, che ha da poco scoperto di essere incinta, fa di tutto per scagionarlo, con il sostegno incondizionato di parenti e genitori. Senza più un compagno al suo fianco, Tish deve affrontare l’inaspettata prospettiva della maternità. Mentre le settimane diventano mesi, la ragazza non perde la speranza, supportata dalla propria forza interiore e dall’affetto della famiglia, disposta a tutto per il loro bene.

Già con all’attivo un discreto numero di riconoscimenti ottenuti in questo scorcio di 2019 e in corsa con tre nomination per i prossimi “Academy Awards” (sceneggiatura non originale, colonna sonora e Regina King come attrice non protagonista), il terzo lungometraggio del regista-rivelazione del 2016 – con il suo lavoro precedente (Moonlight) si aggiudicò ben tre oscar, tra cui anche quello per il “miglior film” –, forse non ha la stessa forza del lavoro precedente, ma contiene certamente più di un aspetto positivo che ne confermano l’originalità espressiva. Le due opere, solo apparentemente distanti per la differente spaziotemporalità – dal Sud contemporaneo che fa da sfondo al film del 2016 (ambientato tra Miami e Atlanta), alla New York Early Seventies di Se la strada potesse parlare -, in realtà dialogano assai più profondamente di quanto potrebbe sembrare a un primo, superficiale confronto. Non tante perché entrambe incentrate su una vicenda di cui sono protagonisti personaggi della comunità afrodiscendente statunitense; non solo perché pensate e scritte da Jenkins più o meno nello stesso periodo e con un simile lavoro di traduzione visto che sono adattate da materiali preesistenti (là da un testo teatrale, qui dall’omonimo romanzo di James Baldwin pubblicato nel 1974), quanto perché permeate dallo stesso tentativo di mettere in rapporto il conflitto sociale con la forza rivoluzionaria dell’amore. Ovvero il medesimo spirito che anima il romanzo d’origine, scritto da Baldwin proprio nel momento della sua massima disillusione, seguita agli omicidi dei suoi illustri compagni nelle lotte civili degli anni ’60 e agli attacchi ricevuti per la sua difesa nei confronti di chi avesse un diverso orientamento sessuale. Se tuttavia la traduzione nel linguaggio audiovisivo di questo struggente melò convince è soprattutto perché Jenkins adotta una messinscena meditativa quanto avvolgente, ritraendo i propri personaggi con movimenti ieratici quanto ipnotici, costringendoli in spazi chiaroscurali senza però lasciare che perdano mai la propria autodeterminazione, sottolineandone la forza mista alla vulnerabilità con un melanconico e vibrante percorso sonoro (rimarchevole il contributo di Nicholas Britell che firma il soundtrack).

 

Regia Barry Jenkins

Con KiKi Layne (Clementine “Tish” Rivers), Stephan James (Alonzo “Fonny” Hunt), Regina King (Sharon Rivers), Colman Domingo (il sig. Rivers)

USA 2018

Durata 117’

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).