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SE NON ORA, QUANDO?
Riflessioni a margine delle SdC Days di Senigallia

Senigallia era sembrata una scelta di ripiego, dopo che la pandemia aveva cancellato l’appuntamento di Riccione delle SdC Days 2020 dal 3 al 5 luglio. Aver dovuto scegliere un’edizione in modalità onlife ci ha imposto di approdare in una realtà, il Cinema Gabbiano, ben radicata nel territorio e con una capacità di ascolto e di proposta culturale affinate nell’arco di molti anni di attività.

Nei saluti inaugurali il Vescovo di Senigallia, mons. Francesco Manenti, ci ha accolto affermando che nella sua diocesi ci sono due Sale: una è la Sala liturgica (il tempio) e l’altra è la Sala della comunità, e come la seconda in questo momento accolga più persone della prima. Con queste parole del Vescovo abbiamo capito di essere arrivati in una Chiesa locale dove l’idea di Sala della comunità è in linea con lo stile di una comunità ecclesiale per nulla arroccata al passato e – come ci invita Papa Francesco – “in uscita”.

Le Sale della Comunità ci sono

Cosa abbiamo tratto da una tre giorni, per certi versi anomala, ma rispondente appieno al tempo che stiamo vivendo? Che le Sale della Comunità ci sono. Meglio ancora i volontari e i responsabili delle nostre sale hanno molto chiaro il contesto sociale nel quale sono inserite e che questa crisi non può essere sprecata. «Non possiamo permetterci di sprecare una crisi come questa, è un’opportunità di fare cose che non si pensava di poter fare prima». La frase è di Rahm Emanuel, capo di Gabinetto di Obama, ed è stata pronunciata dopo la grande crisi economica del 2008. La pandemia ha accelerato fenomeni già esistenti e ha messo in luce alcuni nodi che dovremmo tentare di sciogliere. Dal panel organizzato nelle nostre giornate dal titolo “Le Sale della comunità e le piattaforme digitali” è emerso che in Europa una certa tipologia di sale cinematografiche (di prossimità, d’essai) dialogano con le piattaforme europee di video on demand specializzate nel cinema d’autore, indipendente ed europeo. Realtà che condividono la stessa visione della fruizione del cinema e vogliono promuovere la diversità culturale sono chiamate, avendo come stella polare la sala fisica, all’uso del video on demand come canale legale per la distribuzione di contenuti audiovisivi. Le piattaforme digitali esistono perché esiste Internet e non per contrapporsi alle sale cinematografiche. L’uso delle piattaforme, integrato con i social, dovrà essere inserito nel palinsesto delle nostre Sale quale supporto promozionale nei confronti del pubblico più giovane e come ampliamento della proposta di contenuti audiovisivi, compresi i film.

La direzione da intraprendere

“Non sprecare questa crisi” significa uscirne con la consapevolezza che le piccole sale, e le Sale della Comunità sono piccole, devono intrecciare rapporti con il loro territorio in modo sempre più intenso e costruttivo. Questo le nostre sale lo fanno molto bene perché i loro responsabili non stanno chiusi nei grattacieli di Londra o di Milano e sono in simbiosi con il tessuto sociale e culturale della gente che insiste nello spazio vitale della sala. Questa è la speranza, ma non è detto: serve molta leadership culturale, “strategia politica” (nel senso di una visione da dare alla società e alla chiesa) e anche investimenti economici. Va accorciata, infine, la catena del valore economico del film. Ci sono ancora troppi passaggi commerciali nella filiera distributiva. Non dico andare dal produttore al consumatore. Questo non è facilmente realizzabile perché i film sono il risultato di un lungo processo ideativo e non sono costruiti in serie. Ma migliorare la filiera soprattutto nella sua fase di acquisizione e di fruizione è un passo in avanti ineludibile. Tre sono le direttrici su cui muoversi: l’innovazione, la formazione e il ricambio generazionale (più giovani a gestire le sale). Dare più spazio ai giovani vuol dire, per le sale, aumentarne la professionalità gestionale, inserendole in una visione non rivolta al passato, ma incardinata nel presente con una progettualità che si fa carico spesso anche delle stanchezze delle nostre parrocchie.

Ruolo ecclesiale delle SdC

E veniamo al profilo ecclesiale delle SdC Days, al quale è stato dato un ampio spazio sia grazie ai panel dedicati al ruolo che le Sale della Comunità dovrebbero avere all’interno della Chiesa e sia per la visione di film e di spettacoli teatrali di carattere marcatamente spirituale. Si tratta ora di capire che strada il mondo cattolico vuole intraprendere nei confronti delle Sale della Comunità, e conseguentemente il ruolo che noi (Acec e Sale) vogliamo avere nella Chiesa. Siamo chiamati a sviluppare una maggiore “autocoscienza ecclesiale”. Dai paesi, dalle diocesi, dalla periferia dove c’è una nutrita presenza di sale è quasi naturale che queste non siano considerate un “rimasuglio”, cascame di un mondo residuale e anacronistico che rappresenta a mala pena il vecchio cinema dei preti. Là dove manca una loro presenza non sono state certo sufficienti le due Note pastorali della CEI, che ne lodano il valore, a cambiare l’idea secondo cui le sale siano sì utili, ma non necessarie ai fini della socialità e dell’evangelizzazione. Ci ha penalizzati anche l’idea, mai chiarita definitivamente, di “salone parrocchiale”: spazio che si affianca alla sala (e spesso la ingloba), che viene adibito a tutto, con il risultato alla fine che spesso serve a poco. È penalizzante anche il refrain che le SdC, ottemperando alla necessità di fare un’attività commerciale, siano poco spendibili pastoralmente. Pretesto, questo, che nasconde una incapacità a gestire i beni (materiali e immateriali) da parte di molte realtà ecclesiali. E per finire anche una non più malcelata chiusura nei confronti della realtà e una palese incapacità di stare in un mondo che ragiona e ha paradigmi di senso molto lontani da quelli della Chiesa. Lo scenario nella sua complessità è abbastanza delineato. La Sala della Comunità torna a essere “cartina di tornasole” di una pastorale che si dovrà far carico dei linguaggi della contemporaneità (cinema, performance teatrali e artistiche, musica …) e non usarli come accessori “pretestuali e spesso pretestuosi” per evangelizzare. La realtà (“il mondo” traduzione per i cattolici), unico tabernacolo laico a cui inginocchiarsi, non è una sovrastruttura che deve essere salvata a suon di secchiate di acqua santa, ma possiede già dentro di sé i germi della salvezza: a noi spetta solo di scoprirli e valorizzarli. Finirà il Covid e usciremo “a riveder le stelle”, ma queste domande e queste sfide attendono una risposta: se non ora, quando?

 

(Articolo contenuto in SdC – Sale della Comunità n.2/2020 – di prossima pubblicazione)

 

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Sull'autore

Francesco Giraldo

Segretario Generale Acec