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SE SOLO FOSSI UN ORSO (Zoljargal Purevdash)
La povertà che raggela

Ulzii è un adolescente che vive con la mamma e i tre fratelli minori nei sobborghi degradati di Ulan Bator. Dotato di un’intelligenza superiore alla media, il ragazzo, aiutato dal suo professore, è determinato a vincere un concorso di fisica per ottenere una borsa di studio, mentre la madre, analfabeta, trova lavoro altrove, in campagna, abbandonando lui e altri due figli nel rigido inverno mongolo. Combattuto tra la necessità di prendersi cura dei fratellini e il desiderio di proseguire gli studi, investendo sul suo futuro, Ulzii cerca di opporsi, come può, ad un destino di povertà che pesa come un macigno sulla sua famiglia…

“Se solo potessimo andare in letargo, come gli orsi in inverno, non avere mai freddo, non ammalarci mai…”. E’ una frase, pronunciata dal fratello più piccolo di Ulzii, che non solo offre il titolo all’intensa opera prima di Zoljargal Purevdash (nata e cresciuta negli stessi luoghi del film), ma, nella sua disarmante sincerità augurale, rivela le esigenze primarie e irrinunciabili di un microcosmo umano tanto raggelato dalla mancanza di legna e carbone da bruciare nella stufa di una misera abitazione, situata nel distretto delle yurte (dove vive, in case mobili, il 60 per cento degli abitanti della capitale mongola), quanto soggiogato da una pericolosa, paralizzante rassegnazione, un ‘appannamento esistenziale’ che imprigiona come in una ragnatela.

Il bisogno di scaldarsi e, parallelamente, di nutrirsi, porta il film, fin dalle prime inquadrature, sul terreno di una ‘primordialità’ vissuta dal giovane protagonista come una condizione annichilente da cui fuggire attraverso lo studio, ma proibitiva da superare per le sue croniche emergenze. E nella contrapposizione tra Ulzii, studente modello, e sua madre, che invece non sa né leggere né scrivere, il lungometraggio d’esordio della Purevdash riassume una distanza generazionale che investe, di riflesso, altre conflittuali antinomie: la città e la campagna, la legalità e l’illegalità.

Ritratto di un ragazzo volitivo e orgoglioso, in cui le asprezze adolescenziali si mescolano a timidi dolcezze, Se solo fossi un orso è sostenuto da una buona organizzazione dei materiali filmici, con un convincente equilibrio tra snodi di sceneggiatura, scelte di regia, utilizzo in chiave emotiva degli spazi interni e dei paesaggi esterni, costruzione dei caratteri dei personaggi e contestualizzazione sociale. I metalli pesanti derivanti dall’inquinamento atmosferico, che scorrono nel sangue dell’intera popolazione, la tossicità di uno pneumatico rubato e utilizzato come combustibile per il riscaldamento domestico, la raccolta di scatole di cartone per lo stesso scopo, l’abbattimento di alcuni alberi della foresta, i cui tronchi e rami, tagliati e venduti, generano comunque ben pochi soldi, l’indifferenza dei servizi sociali, che soccorrono gli ultimi soltanto con sussidi aleatori, compongono un mosaico di disperazione quotidiana osservata con realismo pungente ma sguardo empatico. Lasciando trapelare una volontà ostinata di superamento delle incertezze del presente e manifestando un approccio alla vita, anche a temperature largamente sottozero, tenacemente aggrappato ad un’idea di futuro.

Regia: Zoljargal Purevdash
Interpreti: Battsooj Uurtsaikh, Tuguldur Batsaikhan, Batsaikhan Battulga, Batmandakh Batchuluun
Nazionalità: Mongolia, 2023
Durata 96’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.