Ai miei tempi Rubriche Vita associativa

Sete di cinema
Tracannare la vita, dal Sessantotto a oggi. Quando la sala è una casa (con l'angolo bar)

L’andirivieni di ricordi è appassionante. I volontari del Cineteatro Stella, sala milanese legata alla parrocchia dei Santi Quattro Evangelisti, sono andati avanti e indietro sulla linea del tempo fino al 1968. Risale a quell’anno la ripresa ufficiale del cineforum, dopo precedenti tentativi fruttuosi. «È partito come Cine4 – racconta Gabriele Agnelli – e gli abbiamo anche dato un logo». Formidabili quegli anni. Sandro Crippa estrae dallo scrigno un prezioso cimelio: un quaderno rilegato con la copertina rigida, con l’elenco dei titoli del cineforum. C’è tanta storia del cinema, e film di tutti i generi, nel giro di pochi anni: L’uomo del banco dei pegni, Fahrenheit 451, La battaglia di Algeri, Il giorno in cui i pesci uscirono dal mare, L’amaro sapore del potere, Lontano dal Vietnam, Il pianeta delle scimmie, Per qualche dollaro in più, Uomo bianco tu vivrai!, Uccellacci e uccellini, La cinese, Faccia a faccia, La resa dei conti, Edipo re, Morgan matto da legare… «Ah, ma con Il Vangelo secondo Matteo – e qui Sandro lascia il quaderno per allargare le braccia in un gesto inequivocabile – la sala straripava!».

Gabriele riprende a raccontare: «Il nostro parroco, se c’erano manifesti osé – osé, per l’epoca –, veniva giù con i pennarelli e riduceva la scollatura del golfino dell’attrice, o allungava la gonna… Oppure, grande classico, metteva la mano sulla luce del proiettore in cabina quando riteneva che ci fossero scene meritevoli di una bella dissolvenza…». L’episodio migliore riguarda però il film Voglio essere amata in un letto di ottone. «Una commedia tranquillissima, ma il film fu sospeso per il titolo, perché appariva scandaloso. Senza nemmeno vederlo». I vecchi amici ridono, ricordando questi episodi con simpatia. Chi ne esce peggio, ragioniamo, non è tanto il sacerdote troppo apprensivo quanto i titolisti italiani (l’originale è The Unsinkable Molly Brown, musical con Debbie Reynolds sulla vera storia di Margaret Brown, sopravvissuta al naufragio del Titanic). Il clima era tipico di alcuni decenni fa, eppure sembrano passati secoli: «Si fumava in sala, c’era praticamente la nebbia. Avevamo messo l’impianto di aria condizionata apposta, per aspirare il fumo… Non appena vedevi l’attore che si accendeva la sigaretta, per un riflesso incondizionato la accendevi anche tu…». L’aneddoto migliore, a proposito di immedesimazione con i personaggi di un film, riguarda però il film Il volo della Fenice di Robert Aldrich. «Si svolgeva nel deserto. Quella sera abbiamo svuotato il bar… La gente continuava a uscire dalla sala e a comprare da bere. Morivano di sete. Eppure era inverno, faceva freddo. Erano tutti con le labbra screpolate».

Si arriva agli anni della contestazione. Qui, più che il cinema, poté il teatro. «Don Dante chiese aiuto al nostro Zago per cercare di tenere insieme i giovani della contestazione. In parrocchia abbiamo avuto ragazzi di destra e di sinistra che se le davano di santa ragione. Ce n’era uno che veniva a suonare la chitarra. Negli intervalli tra un atto e l’altro, quando la compagnia si esibiva nei teatri in centro città, si assentava per andare alle manifestazioni». Il ruolo di Roberto Zago, il Molière di Milano Sud, fu fondamentale: «S’ingegnò per tenerli uniti. Organizzò uno spettacolo per coinvolgerli. Non tutti recitavano, non fecero le prove insieme ma come spettatori vi assistettero, radunati nelle stesse mura, tra le stesse sedie. Fu anche data la possibilità di dire le loro cose dal palco».

La zona di Milano in questione fu, come molte altre, teatro di violenze. «Finita la bagarre, trovavamo per terra le spranghe, le chiavi inglesi, sberle così sotto le macchine…». Gabriele allontana i palmi delle mani per darci l’idea della grandezza degli arnesi con cui i ragazzi, alcuni dei quali della parrocchia, si picchiavano e danneggiavano quello che trovavano in giro. «Quando finivano i raid punitivi, trovavamo di tutto lungo la strada, anche le automobili bruciate». In questo contesto, c’è posto per la bellezza? «La parrocchia affrontò tutto questo, cercando sempre di far coesistere le diverse anime turbolente di quel periodo. La sala fu un luogo di mediazione, di negoziazione. Ci ricordiamo le serate intere a parlare, parlare… La parola, il “verbo”, era un comandamento». Nonostante le contraddizioni, i malumori, il piombo e il sangue, resta l’impressione di un periodo in cui c’erano posti dove si potesse affrontare la realtà a viso aperto, meglio di oggi. «In un luogo come questo, che ne ha viste tante, oggi mancano i giovani. Ci vorrebbe gente che si appassionasse e lo portasse avanti».

Gabriele abbandona la malinconia per qualche ricordo più divertente: «Tutti andavano al catechismo alla domenica. Zago faceva il catechista e io gli facevo da vice. Ho iniziato proprio aiutando Zago nel catechismo. Poi ero anche chierichetto, e i chierichetti non pagavano il cinema al pomeriggio». Il bello dei giorni festivi. «Alla domenica pomeriggio c’erano le suore sacramentine che portavano giù le ragazze (l’oratorio era diviso in maschile e femminile). Siamo negli anni Settanta. Quando finiva il film, la suora aveva già scelto quattro o cinque ragazze che prendevano le scope, venivano qui, pulivano la sala. Alla fine Suor Brontolo [mica ci sarà da spiegare il soprannome] diceva: “E adesso andate a lavarvi le mani, poi andate dal signor Agnelli che vi dà le caramelle e la mancia”. Si mettevano tutte in fila e mia figlia, una delle prescelte, chiedeva timorosa: “Ma anch’io devo dire ‘buongiorno e grazie, signor Agnelli’? È mio papà…”».

Sandro, che con sua moglie Maria Grazia tornò a vivere dopo diversi anni nel quartiere che li aveva visti ragazzi (e incontrarsi, innamorarsi, sposarsi), aggiunge al novero un altro fatto: «Una volta ritrasferitici in zona, scegliemmo il nostro nuovo medico di base. Quando andammo da lui la prima volta, entrammo nel suo studio, ci guardammo un attimo in viso e ci riconoscemmo subito. “Ma tu sei quello del cinema?”, mi chiese. Gli risposi di sì. “Ah, mi ricordo che una volta mi hai dato una sberla”. “Eh – gli risposi al volo – Si vede che la meritavi”. Subito ammise: “Sì, in effetti me la meritavo…”. Se la meritava sì, era un ragazzo dell’oratorio particolarmente vivace ed erano parecchi quelli che andavano domati. La domenica sera c’era un gruppo che veniva giù. C’era uno grande e grosso che abitava in Carcano. Uno mezzo matto. Ogni tanto lo portavano via. Un giorno era un po’ alticcio e mi ha fatto talmente girare le scatole che gli ho dato una spinta così forte da farlo cadere a terra. Io temetti di prenderle… “Chissà cosa mi fa”, pensai. Invece fu lui che si rabbonì. Da allora non ha più fiatato. Altri tempi. Oggi saremmo finiti sui giornali».

Oggi il cineteatro è in buona salute, anche se deve lottare di continuo, come tutte le monosale. Questa, per fortuna, è a “trazione teatrale”, se così si può dire. Maria Grazia Mariniello prende la parola: «Ospitiamo anche saggi di scuole di teatro. Ogni volta un’utenza diversa. Fa piacere che, quando vengono, si complimentino per la sala tenuta molto bene e dicano: “Si vede che ci sono volontari qui dentro, perché gli stipendiati non la terrebbero così”. È proprio come casa tua ed è bello accogliere qualcuno che veniva qui da ragazzino, torna in zona e dopo tanti anni viene a trovarci». Si rivedono i volti e ci si sente parte di una storia. Quella di Roberto Zago e della Compagnia dei giovani è un’eredità amata. Merito di questa storia se la passione non si spegne e la sete di bellezza, come quella degli spettatori del film ambientato nel deserto, è inestinguibile.

3- Fine

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Sull'autore

Raffaele Chiarulli

Guido un workshop di critica cinematografica presso l'Università Cattolica di Milano e insegno cinema dalle scuole materne alle università della terza età.