“Un capriccio”, lo definisce il regista, ma The Human Voice di Pedro Almodóvar, inserito in questa Mostra pare più un omaggio all’attrice Tilda Swinton, Leone d’oro alla Carriera. Tratto dall’omonima opera teatrale di Jean Cocteau molto amata dal regista spagnolo, il breve film racconta la storia di una donna abbandonata dall’uomo che ama e della loro ultima telefonata. Quasi tutto si svolge nell’attico della donna collocato in un set che il regista non si premura di dissimulare e anzi ostenta, mostrandone gli squallidi esterni con ampi movimenti di macchina.
Si percepisce quasi uno stridore tra l’esuberanza visiva di Almodóvar – i colori sgargianti, gli abiti esagerati, i quadri alle pareti – e la fisicità androgina, eterea, spigolosa dell’attrice. Ma anche grazie a questo stridore una storia minima, intima e personale, diviene una parabola sull’umanità in cui al riscatto senza appello della donna corrisponde l’evanescenza dell’uomo. È, questo, già un tema ricorrente della Mostra, che pare affermare le colpe degli uomini e la resistenza tenace delle donne, i silenzi degli uni e le proteste delle altre.
Con uno sguardo rallentato e profondo, il regista esplora il corpo e il volto dell’attrice che è sempre sullo schermo con pochissimo spazio di movimento, ma la sua presenza scenica è una risorsa preziosa per reggere lo spazio del film che in fondo si potrebbe riassumere come una telefonata di quasi trenta minuti.
Resta ovviamente una dimensione eminentemente teatrale, poiché in fondo si tratta soltanto di un monologo, ma i movimenti di macchina, i richiami alle opere d’arte, e soprattutto l’ostentazione del set, fanno di questo film un esempio di cinema puro. L’opera è stata realizzata in tempi brevissimi dopo la fine del lockdown ma non è per nulla ottimistica o consolatoria, anzi è la desolata e inguaribile storia di un’umanità sconfitta, la cui ferita sembra non potersi rimarginare.
THE HUMAN VOICE
Regia: Pedro Almodóvar
Durata: 30’
Interpreti: Tilda Swinton