Adnan è un giovane soldato rivoluzionario sudanese, innamorato della fidanzata Lina ma forse ancor più di Nancy, il suo inseparabile fucile Kalashnikov.
Approfittando di una licenza ottenuta grazie ad un’azione eroica sebbene fortuita (aver abbattuto con un solo colpo di fucile un drone dei nemici), Adnan tarda a rientrare in servizio intrattenendosi nella dimora di Lina, fino a quando il comandante militare organizza una “kasha”, ovvero una rigida retata nei confronti dei disertori.
In fretta e furia Adnan decide di darsi alla fuga assieme ad Absi, altro giovane ed esuberante soldato, con cui condividerà una serie di peripezie comiche alquanto inaspettate.
A poco a poco il film si delinea allora come una sorta di commedia degli equivoci dal tono leggero e ironico, trasformando i due protagonisti – che tra le altre cose dovranno persino vestire abiti da donna per non essere riconosciuti – quasi nella caricatura di se stessi.
Definito come una sorta di ballata popolare, Akasha è un film dichiaratamente semplice, che sceglie di rinunciare ad ogni forma di retorica per offrire uno spaccato di vita ordinaria di un villaggio sudanese, calando lo spettatore in un angolo di mondo ancora poco esplorato dal punto di vista cinematografico.
E se è vero che in Sudan da molti anni si convive con la guerra civile, è altrettanto vero, spiega il regista, che questo popolo non rinuncia a gioire nella quotidianità con canti, balli, colori, festeggiamenti.
Come spesso accade per le produzioni “periferiche”, a conferire valore al film è più di ogni altra cosa il contesto sociale e culturale che esso incarna. Basti poi pensare che alcuni degli interpreti non hanno potuto partecipare al Festival poiché nel giorno della proiezione ufficiale si trovavano in Uganda in attesa di ottenere lo status di rifugiati.