Cosa si può fare mostrando solo acqua per un’ora e mezza di film? Si può innanzitutto fare una lezione di fotografia, poi si può far percepire la grandezza e la precarietà di un’intero ecosistema, e d’altra parte la fugacità minima di ogni singolo uomo sulla Terra, infine si può far comprendere come lo scioglimento dei ghiacci, l’inquinamento, il buco nell’ozono rappresentino un reale pericolo per tutti noi molto al di là di quanto possono fare le parole, troppo dette e inascoltate, ma contando piuttosto su quanto ci sia di viscerale e potente nelle immagini.
Aquarela riesce in tutto questo, senza mai rinunciare al rigore di uno sguardo oggettivo privo di commento. Non ci viene detto neppure dove ci troviamo nelle varie sequenze, soltanto di tanto in tanto una musica potente accompagna le immagini. Si parte dallo scioglimento dei ghiacci, dal recupero di alcune macchine finite nell’acqua dopo essere passate su ghiacci troppo precari. “Come vi è venuto in mente di passare di qui? – chiede una delle pochi voci che si sentono nel film – Non vedete che si sta sciogliendo?” “Di solito si scioglie tra tre settimane”, risponde l’altro, e questo è l’unico riferimento, minimo, ai cambiamenti climatici. Ma poi crollano intere pareti di ghiaccio, una barca a vela affronta la ferocia dell’Oceano. Alla fine ci troviamo in città devastate dai tifoni, con l’acqua che invade le strade, alberi caduti, vento che spazza via tutto.
Non è solo un documentario questo film, sembra piuttosto un volo mistico sulla superficie del globo terraqueo, pieno di un rispetto quasi mistico per la madre terra, oppure un accorato appello all’uomo perché salvaguardi se stesso e ciò che lo circonda. La dedica a Aleksandr Sokurov sembra alludere a tutti questi temi.