La videorecensione di Vermiglio, il nuovo film di Maura Delpero a cura di Anna Maria Pasetti. Il film è stato presentato all’81esima Mostra del cinema di Venezia.
È un piccolo mondo antico codificato sui dettagli e sull’evidente ispirazione olmiana l’universo raccontato in Vermiglio, titolo scelto per il suo secondo lungometraggio di finzione da Maura Delpero a rievocare il paese natio del padre. Con il rigore di uno sguardo intento a scrutare ogni particolare del contesto naturale e umano che si fa meticoloso tessuto del narrare, la regista esordiente in lungo con Maternal nel 2019 utilizza la piccola comunità montana vicina allo Stelvio quale unità di misura per inquadrare un mondo che, benché storicizzato sul finire della II Guerra Mondiale, potrebbe collocarsi spazio-temporalmente ovunque laddove le barriere ambientali e tradizionali ne rendano difficoltosi i rapporti con l’esterno. Al centro è una famiglia composta da un padre maestro e padrone, una madre sottomessa e una squadra di figlie e figli di ogni età.
Puntando l’attenzione sulle sorti della maggiore, Lucia, andata in sposa a un disertore siciliano, Delpero riesce a tratteggiare con cura le personalità di ciascun personaggio, anche dei minori, edificando così un quadro poetico e organico dotato di sensibile autenticità fatto di sussurri, silenzi e sguardi eloquenti ma anche delle grida laceranti specchio di una guerra solo apparentemente lontana. Come in Maternal, il motore vitale è affidato alle donne – bambine, giovani o anziane che siano – persone/personaggi cui spetta la funzione del cambiamento dall’interno di una società ancora profondamente maschilista e patriarcale.
Accompagnato, specie nella seconda parte decisamente più incisiva della prima, dalla musica di Vivaldi a sostanziare l’arco delle quattro stagioni in cui si articola la messa in scena, Vermiglio sembra dunque soddisfare le proprie ambizioni estetico narrative benché in taluni passaggi avrebbe potuto innalzare con più decisione lo sguardo verso il simbolico, ovvero tentando una radicalizzazione espressiva di cui l’autrice appare potenzialmente a proprio agio.