Alessandro Cinquegrani recensisce Wolfs, di Jon Watts.
La camera di un albergo di lusso: un ragazzo un po’ su di giri cade malamente su un tavolino di vetro e muore (o così pare). La donna benestante che sta con lui chiama un uomo misterioso in grado di risolvere situazioni complicate come questa, facendo sparire il corpo e cancellando le tracce. Poco dopo però si presenta nella stanza un secondo uomo, con lo stesso compito di cancellare le tracce dell’accaduto, inviato però dall’albergo che spiava la camera. I due uomini sono interpretati da George Clooney e Brad Pitt, e tra di loro inizia una rivalità, un sfida, una diffidenza destinata a mutare di segno nel corso del film. L’innesco narrativo è facile, ed è immediatamente evidente che si tratta di un pretesto per ostentare le prove di bravura dei due divi del cinema. È altrettanto evidente però che il regista dimentica che gli attori interpretano dei personaggi e per dimostrare le loro capacità recitative hanno bisogno che questi personaggi abbiano uno spessore, delle sfumature, diano appigli alla recitazione che altrimenti resta di maniera, superficiale e lascia del tutto freddi gli spettatori.
È quello che accade in questo caso. Il film si aggroviglia nel cercare di mantenere vitale il filo narrativo: il ragazzo, già messo in un sacco e portato via, in realtà non è morto e si rivela essere uno sprovveduto finito in un giro di droga. Ovviamente i due dovranno aiutarlo a uscire dal pasticcio nel quale si è infilato suo malgrado e quindi dovranno affrontare varie bande criminali, con sparatorie inverosimili e inseguimenti e situazioni comiche (negli intenti). Ovviamente finiranno per fare amicizia e creare un’intesa, e se la caveranno, sempre grazie alla loro intelligenza e esperienza.
Wolfs è il titolo del film, che non è esattamente il plurale di wolf che sarebbe wolves. Potrebbe piuttosto essere il plurale del nome Wolf, il mitico personaggio di Pulp Fiction, che come questi “risolve problemi” e fa sparire cadaveri. L’intento potrebbe essere quindi quello di rivedere, in salsa postmoderna e parodica, noti personaggi diventati, per colpa dell’età, un po’ goffi e ridicoli, ma pur sempre infallibili e vincenti. È un’operazione già vista molte volte, che dovrebbe garantire il successo in virtù delle star coinvolte: dunque un’operazione facile, in grado di raccogliere lo spettatore che insegue i divi, come il cinefilo che si appassiona al citazionismo. Si aggiunga a tutto questo un regista, Jon Watts, che viene da film popolari e di successo come la saga di Spider Man e l’esito dovrebbe essere garantito.
E invece no: il film è sfilacciato, l’autoironia dei personaggi è fiacca e si limita a un paio di battute, i virtuosistici dialoghi serrati tra i due restano fini a se stessi, il citazionismo è di maniera, e la narrazione inconcludente. Certo, resta la passerella del Lido che infiamma fan di tutte le età, ma, finita la Mostra, non resta nulla. Per vincere facile bastava poco, ma purtroppo non c’è neppure quel poco.
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