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VIVERE (Francesca Archibugi)
La complessità della quotidianità

La famiglia Attorre vive in un’anonima periferia romana dove la contiguità tra residenti è favorita dalle villette a schiera che la compongono. Luca è un giornalista free-lance al suo secondo matrimonio che ha difficoltà a piazzare i propri articoli, sua moglie Susi insegna danza a signore in sovrappeso, mentre la loro giovanissima figlia Lucilla ha una spiccata fantasia ma soffre d’asma. L’arrivo di Mary Ann, studentessa irlandese offertasi come ragazza alla pari, è però destinato a frantumare i loro fragili equilibri familiari.

 

Dopo l’anodina parentesi milanese de Gli sdraiati (2017), Francesca Archibugi torna nella “sua” Roma per ambientarvi il suo undicesimo lungometraggio. Scelta che declina il suo “ritorno alle origini”, perché come nel suo film d’esordio (Mignon è partita, 1988), non solo il genere – o meglio il sotto-genere (la commedia interclassista) – è il medesimo, ma è assai simile anche il personaggio della ragazza straniera che si ritrova catapultata in una situazione diversa dalla propria (là era la quindicenne parigina Mignon, qui la studentessa irlandese di storia dell’arte Mary Ann). Diversamente dal film d’esordio però, dove il conflitto veniva esperito dal giovane cugino di Mignon e dove lo sguardo di Archibugi era focalizzato sull’adolescenza e sui problemi sentimentali che la caratterizzano, qui esso riguarda invece la giovane ragazza irlandese e sui problemi di natura morale della giovinezza. L’attrazione di cui è oggetto da parte sia del padre (Luca) che di suo figlio (Pierpaolo, figlio del primo matrimonio), rende il personaggio di Mary Ann il fulcro della narrazione: l’elemento narrativo attraverso il quale essa si dispiega e quello drammaturgico attraverso il quale si manifesta il discorso. Fin qui potrebbe anche andar bene, se non fosse che è anche l’unico personaggio a essere dotato di una certa tridimensionalità, l’unico che sembra insomma lievitare dalla pagina scritta. Il che per una commedia corale diventa un problema, poiché gli altri personaggi, eccezione fatta per il bel cameo di Enrico Montesano, sembrano rimanere schiacciati dalle funzioni narrative che devono assolvere (esemplare in tal senso è il personaggio interpretato da Marcello Fonte). Se lo script (firmato dalla stessa Archibugi con Francesco Piccolo e Paolo Virzì) appare dunque convenzionale, non meno opaco si dimostra lo sguardo della regista romana. Soprattutto nella distanza che mostra dai personaggi più giovani, ovvero proprio da quelli che la regista romana ha dimostrato di saper raccontare meglio e attraverso i quali ha trovato la nettezza di quello sguardo diretto e senza compromessi che ha caratterizzato le sue opere migliori.

 

Regia Francesca Archibugi

Con Micaela Ramazzotti (Susi), Adriano Giannini (Luca), Massimo Ghini (Marinoni), Marcello Fonte (Perind), Rosin O’Donovan (Mary Ann)

Italia 2019

Durata 103

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).