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Etica ed estetica si sfidano in Challengers
Come ne parliamo con il pubblico? Stimoli per un dibattito critico

Challengers

“…per mettere insieme i tasselli delle vite dei protagonisti, partono i salti temporali: un continuo avanti e indietro nel tempo che rischia di confondere lo spettatore e spezzettare eccessivamente il racconto, lasciando una sensazione di “non risolto”.”
Dalla scheda della CNVF (Commissione Nazionale Valutazione Film) della CEI

Scendiamo in campo, inizia la partita

Ed effettivamente se qualche spettatore si trovasse spiazzato dall’ultimo film di Luca Guadagnino, non sarebbe né da fargliene una colpa né prima ancora da stupirsi perché, come hanno già messo in luce tante voci della nutrita e preparata critica italiana, Challengers ha l’ambizione col suo progetto estetico di sovvertire qualsiasi categoria di classicità cinematografica. Bisogna, quindi, anche ad una seconda visione abituarsi e lasciarsi andare a questo mare aperto di piani temporali e ingressi sonori, ma anche dei generi e dei punti di vista, come pure della sensualità e delle relazioni. Per poi, in ogni caso, provare a riordinare con il pubblico, anche quello più resistente agli scatti in avanti stilistici, questo discorso filmico complesso e spavaldamente coraggioso, un talento divisivo che ormai possiamo dare per assodato nel cinema d’autore del regista palermitano.

Complesso e coraggioso in Challengers fa rima anche con ambiguo e sospeso, l’altra faccia della medaglia dello stile Guadagnino che, ça va sans dire, apre esasperatamente alla danza dei gusti del pubblico con cui dal vivo, noi animatori culturali, dobbiamo sempre fare i conti. L’estetica prescelta sicuramente in tanti casi affascina e appaga in termini emozionali da capogiro, col rischio che girando a mille non si notino quegli innegabili atteggiamenti compiacenti di un’adolescenza reiterata nella giovinezza e già con un piede nell’adultità e, tra matrimoni, figli e professioni, quest’ultima ci sembra di poterla chiamare in causa ragionevolmente.

In ogni caso quando un film lascia un riverbero di discussione, anche accesa, è già un’occasione di visione importante da consigliare, perché apre alla molteplicità di sguardi di una comunità (un obiettivo sensibile del nostro stare insieme nelle Sale della Comunità). E con tutta onestà Challengers ha davvero questo pregio, non senza rischi o “scivoloni” e anche di questi se ne deve parlare.

A livello metodologico dopo aver messo attentamente in luce con gli spettatori i pregi di questa bulimica architettura di sovversione dei codici – ci sostengono in questa analisi puntuale e necessaria le abbondanti e colte fonti critiche a disposizione, spesso irrimediabilmente lunghe perché ad analizzare e a destrutturare ci vuol tempo e bisognerebbe farsene una ragione –, possiamo concederci legittimamente un discorso etico sul viaggio a ritroso di Challengers al quale non ci siamo sottratti. Ed è un viaggio dal quale dobbiamo anche uscire con buona pace del finale svolazzante che tutto vorrebbe risolvere. Sebbene la leggerezza sia la cifra scelta per questa commedia drammatica che si diverte a giocare con gli stereotipi dell’omoerotismo, a pensarci bene lascia Challengers lascia in eredità dei pesi tutt’altro che lievi.

Perché se con i personaggi di Art e Patrick Guadagnino mette in campo uno sguardo scanzonato sulla latente o repressa omosessualità, ancora lo stesso regista sceglie però di guardare con cifra più seriosa, mai realmente approfondita, le relazioni di dominio, abuso e manipolazione nell’ambito degli affetti. E non c’è, per rimanere nella geometria del tennis, un arbitro nel mezzo del campo a tenere la conta di questi salti di tono tutt’altro che bilanciati: tocca a noi in sala che vogliamo vederci chiaro ed è il bello di questo esserci col pubblico.

Challengers a confronto

Challengers è un film solido come viene detto?

Assecondata quindi in sala un’analisi stilistica del film, suggeriamo di provare inoltre ad affrontare alcuni blocchi di riflessioni e domande tutte oltremodo aperte, e se vogliamo anche volutamente irrisolte, da discutere con altri animatori culturali e con il pubblico, con la consapevolezza che come sempre a noi non interessa banalmente né promuovere né distruggere l’opera, ma avere una visione più pregnante possibile di quanto abbiamo visto o che, nel caso di un’occasione mancata, avremmo potuto vedere. È sempre opportuno, metodologicamente, legare queste piste di dialogo a sequenze filmiche molto precise con cui costringere le nostre tesi ad un’intelligente trasparenza e riconducibilità oggettiva.

Se da una parte non ci aspettiamo, e va detto con grande onestà, da Guadagnino un approccio alla Past lives(Justin Kuritzkes, lo sceneggiatore di Challengers, è sposato dal 2016 con la regista Celine Song) o E la festa continua! di Robert Guédiguian o di Estranei di Andrew Haigh sul trattamento dei sentimenti, ci sembra doveroso in ogni caso segnalare il lassismo accomodante con cui il regista risolve molti passaggi cruciali sul tema della donna, dell’amore, dell’erotismo e della qualità etica della persona. Anche le inquadrature più geniali e insolite, davvero qui innegabili, ad un certo punto possono stancare se non supportate da una cura della traiettoria del personaggio e non tanto della pallina.

I simboli di cui si veste Challengers

La sensazione è che si sia investito più tempo per scegliere la maglia di cashmere da indossare (rigorosamente senza reggiseno) con cui Tashi, rallentata, dovrebbe trasmetterci la tentazione del tradimento che non a delineare il subbuglio interiore della protagonista. C’è molta esteriorità, meno interiorità in Challengers. È lo stesso limite di scavo che emerge di fronte al dramma della rinuncia sportiva. Qualche istante di Zendaya sotto l’albero e via di forza di volontà, senza nessun desiderio, ci fanno rimpiangere l’abbarbicato Zaccheo… Basta la musica per coprire questi continui cali di tensione? È un problema di sceneggiatura o di altro? La sensazione è che Guadagnino sia un regista straordinario, ma figlio del suo tempo, un perfetto rappresentante de “Il declino del desiderio. Perché il mondo sta rinunciando al sesso”, per dirla con il titolo di un saggio fondamentale di Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale.

Nell’economia del film esistono alla fin fine solo tre personaggi come se un triangolo amoroso non avesse bisogno di un ambiente narrativo in cui dipanarsi. Il resto è davvero in (imbarazzante?) sottoproduzione sia come attenzione dello sguardo di Guadagnino sia come scavo della sceneggiatura di Justin Kuritzkes. Considerata, però, l’impalcatura psichica così complessa affidata, almeno idealmente, alle tre “divinità”, non era forse il caso di dare una spintina anche ad altri comprimari per rendere il tutto più solido e meno asfittico? Rispettando comunque i codici geometrici del tennis, al film non sarebbe giovato un allargamento dello sguardo? Ne sarebbe uscita un’opera troppo difficile da gestire? Per noi manca più di qualcosa in tal senso…

Challengers

Il desiderio e la manipolazione

Dando per assodati i ruoli e le funzioni narrative delle tre divinità di questo triangolo (non così amoroso) in cui – come ha detto Guadagnino – tutti gli angoli si devono toccare, vale la pena spendere una parola in più sul personaggio di Tashi. C’è un momento in cui realmente riusciamo a sfiorare nella sua figura un sentimento che possa essere in qualche modo autentico? Di cosa si nutre e di cosa nutre i suoi “due bambini capricciosi bianchi”? Anche qui si butta lì con troppa fretta una piazzata che non viene mai esplorata.

Più madre che amante? Siamo lontani anche dalla madre… Più manager che moglie? Alla prova delle scene dovremmo capirlo da una pubblicità che corregge o da un cellulare che prende in mano per iscriverlo ad un torneo? O dalle frasi slogan che il tennis è relazione? Manca quella capacità di farci entrare in un ambiente oltre gli sponsor, oltre i codici di una pallina incuneata nella racchetta tra penetrazioni mancate e penetrazioni avvenute. Guadagnino non è Stéphane Brizé, e molti altri registi europei, nella capacità di portarci nella fabbrica in questo caso del tennis. Più un gendarme che una sportiva? Tashi dove sei?

I due uomini al comando di questo film – regista e sceneggiatore – non le hanno lasciato nemmeno un’uscita di sicurezza che apra, nello sguardo prima di tutto, uno spiraglio al suo dramma di persona davvero irrisolta. Perché quel che conta non è il triangolo, la farsa a cui dobbiamo sottostare per più di due ore, ma finalmente l’aggancio tra Fuoco e Ghiaccio.

Un film, insomma, girato benissimo ma “bambino” nel suo pronunciarsi? E d’altronde questo suo stile ingannevole è annunciato fin dall’inizio nella plateale battuta che il corpo di Tashi (no, di Zendaya… non è un problema questo sguardo?) procura la voglia di essere penetrati da una racchetta. Li porta a penetrarsi con la lingua e nel mentre si sfila con fare saputello. Fa raccontare loro le masturbazioni della preadolescenza perché verbalizzare è portare alla luce qualcosa di latente? No, Tashi non è Leo Grande di Il piacere è tutto mio perché a Guadagnino non interessa scavare, ma semplificare con le magliette al momento giusto con scritto “I told ya” (e non basta la genesi d’autore, bisogna risalire ai Kennedy, per togliere il senso di banalizzazione).

Challengers

Challengers per le Sale della Comunità?

Un film che preferisce stampare slogan su magliette che non occuparsi di tutte le figure strumentali che butta soltanto là senza mai degnarle di una personalità seppure di transito: una nonna in casa di riposo da accontentare (tra partite truffate e anelli da spiegare), una mamma definita da Patrick in forma che sorveglia, supplisce e scambia bacini, un padre che compare dicendo solo “amore” per fare le foto di rito alla festa, una famiglia facoltosa nominata dietro ad uno sportivo che dorme in auto, una bambina che sta bene solo negli alberghi e che chiedendo attenzione gentilmente li accusa di essere monotematici…

Da un lato tutto è solo accennato, una battuta o una comparsata e via, e dobbiamo accontentarci di queste briciole. Dall’altro lato sentiamo, però, il peso massiccio a livello psichico di queste cattedrali familiari sulle tre divinità che, essendo tali, hanno purtroppo un’evoluzione ristretta, quasi assente, lungo un arco temporale tutt’altro che breve. L’impianto regge comunque? Per non dimenticarci dell’agente immobiliare su Tinder che diventa una camera d’albergo, eppure basta un drink al bancone per farla sparire per sempre.

Unendo i puntini delle donne di questo film, stiamo tutte bene per Guadagnino? Non solo non se ne salva una, ma tutte in qualche modo sono usate proprio da lui… Qui l’umanità, per parafrasare l’ultimo titolo dello scrittore Domenico Starnone, non è un tirocinio. Di Challengers, più che la statura di film completo che gli viene attribuito da una buona maggioranza dei partecipanti al dibattito critico, gli animatori delle Sale della Comunità possono fare emergere altro. Delle crepe, o dei punti di dibattito, che possono rendere la visione un momento di confronto, anche acceso, sulla visione dell’umano e del desiderio nel cinema mainstream. Anche in quello che noi italiani realizziamo con i potenti mezzi americani. Da loro e per loro.

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.