L’immagine in copertina di Federico Fellini, sul primo numero del 2020 di Filmcronache, intende rendere omaggio al regista riminese, nel centenario della nascita, e annunciare l’iniziativa congiunta di Ancci e Acec, intitolata proprio Fellini: il soffio nascosto della Grazia. Un progetto che, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, riporta sugli schermi delle sale della comunità e dei circoli del cinema, in versione restaurata, Lo sceicco bianco, I vitelloni, La dolce vita, 81⁄2 e Amarcord, pezzi pregiati di un universo cinematografico traboccante di sogni e visioni e alimentato da un beffardo slancio clownesco (come evidenzia nel suo saggio Stefania Carpiceci, ragionando su irriverenza e ribellione, inquietudine e malinconia), ma sostenuto anche da profonde indagini esistenziali, da sguardi compassionevoli verso gli ultimi e da percepibili echi trascendenti (come sottolineato da chi scrive, nel suo intervento critico, a proposito de La dolce vita).
A questi due contributi si aggiunge un terzo saggio, firmato da Alessandro Cinquegrani, che riflettendo su The New Pope mette in comunicazione l’inesauribile orizzonte onirico dell’autore di Amarcord con le iperboli narrative ed estetiche del regista de La grande bellezza, osservando che se Fellini mette in scena l’esuberanza della vita, Sorrentino costantemente la anestetizza.
I tre saggi che aprono questo numero di Filmcronache, invece, scaturiti come di consueto dalle recenti visioni dei film in sala, sono dedicati al rapporto tra realtà e finzione. Nel testo introduttivo, Francesco Crispino ‘toglie’ idealmente la maschera ai protagonisti di Joker, Pinocchio, Hammamet, Volevo nascondermi, muovendosi tra ‘normalità’ e ‘mostruosità’ e intercettando quella distanza che intercorre tra Persona e Personaggio. Allo stesso modo, attraverso l’analisi di lungometraggi come Stanlio e Ollio, Judy, Dolor y gloria, Rocketman, Richard Jewell, Claudio Gotti e Matteo Marino svelano le tante facce del biopic, tra falsità, verosimiglianza, autenticità.
Anna Pasetti, infine, scavando in profondità in titoli come 1917, C’era una volta a Hollywood, Parasite, La belle époque e I due Papi, sottolinea una volta di più il ruolo di “lente deformante” spazio/temporale della settima arte.
Ma in queste pagine trovano posto anche gli echi della Berlinale, con il cinema italiano sugli scudi (grazie alla vittoria di Elio Germano come miglior attore per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti e all’Orso d’argento alla sceneggiatura consegnato a Damiano & Fabio D’Innocenzo per il loro Favolacce), e del Torino Film Festival. Un’edizione di transizione, quella sotto la Mole (con un nuovo direttore già all’opera, Stefano Francia di Celle), sul filo della ricognizione esistenziale e alla scoperta dei talenti emergenti.
Buona lettura.
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