Tra i titoli proposti finora, nelle diverse sezioni, alla diciannovesima edizione della Festa del cinema di Roma, si sono messi in luce, almeno per coerenza tematica, un gruppetto di film diseguali negli esiti artistici, ma omogenei per le linee guida che ne sovrintendono i rispettivi percorsi narrativi.
Le choix de Joseph Cross, Leggere Lolita a Tehran, La pie voleuse e Pierce sono apparsi, infatti, contrassegnati dalla ricerca identitaria e, soprattutto, dal senso (e dal peso) delle scelte dei protagonisti, in termini di responsabilità individuale e di ricaduta collettiva nel loro cammino di formazione/scoperta.
Ecco quattro film presentati alla Festa del cinema di Roma.
Le choix de Joseph Cross
Il film di Gilles Bourdos è, dichiaratamente, il remake di Locke, il film del 2013 interpretato da Tom Hardy. Al volante dell’auto che, di sera, si allontana inaspettatamente dall’enorme cantiere in cui, l’indomani mattina, verrà colata un’enorme quantità di cemento, stavolta c’è Vincent Lindon: il ‘suo’ Joseph Cross, persona forte e affidabile sia nel perimetro personale che nella sfera professionale, costantemente al telefono per tutta la durata del viaggio verso un ospedale parigino, sa di assumere, non rientrando a casa quella notte, una decisione cruciale per il suo futuro lavorativo e matrimoniale. Una scelta lacerate, ma per certi versi ‘obbligata’, legata al fantasma del padre e al suo passato di bambino abbandonato. Seguendo la strada ‘esistenziale’ già tracciata dal film di Steven Knight, Le choix de Joseph Cross, nell’interlocuzione del protagonista, unico interprete in scena, con colleghi e familiari, le cui voci risuonano nei dialoghi in macchina con il capocantiere, preserva le tensioni intime e i sussulti emotivi di Locke. E pur adagiandosi in un crepuscolare déjà vu, riecheggia, anche grazie ad una tavolozza filmica ben calibrata, vibrazioni interiori profonde.
Leggere Lolita a Teheran
Il valore etico delle scelte e la sofferenze umane ad esse collegate costituiscono l’asse portante anche di Leggere Lolita a Teheran: la vicenda della docente di letteratura angloamericana (interpretata da Golshifteh Farahani) rientrata nel proprio Paese dagli Stati Uniti, con il marito, all’indomani della rivoluzione di Khomeini del 1979, trova nella volontaria rinuncia all’insegnamento da parte della professoressa, a seguito delle restrizioni imposte dalla legge islamica (che reprime le tematiche contenute in opere quali Il grande Gatsby, Lolita, Daisy Miller e Orgoglio e pregiudizio), un tenace esempio di protesta civile. Una volontà indomita, nel non sottomettersi a modelli culturali fortemente ideologicizzati, che si concretizza, di lì a poco, anche nella condivisione privata del proprio sapere in seminari settimanali con le sette migliori ex allieve dell’Università. Ispirato alla storia vera di Azar Nafisi, raccontata nel 2003 in un best seller tradotto nel mondo in più di trenta lingue, Leggere Lolita a Teheran, ammirevole per il messaggio che emana, seppure assai ordinario sotto il profilo prettamente cinematografico, allarga l’orizzonte esplorativo di Eran Riklis, aggiungendo, nella filmografia del regista israeliano, un ulteriore, nitido profilo femminile dopo quelli portati sullo schermo ne La sposa siriana (2004) e Il giardino di limoni (2008).
Dalla Festa del cinema di Roma: La gazza ladra – La pie voleuse
La pie voleuse (ovvero La gazza ladra) è, come sempre nel cinema di Robert Guédiguian, guidato da un’idea di società dialogante e solidale, nonostante le tante amarezze e corrosioni a cui la contemporaneità sembra costringerci. In questo caso, nel film interpretato dal consueto cast di attori fedeli al regista marsigliese (a cominciare dalla moglie, Ariane Ascaride, per proseguire con Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan) l’intreccio si snoda attorno al desiderio di una badante non più giovane e in situazione economica precaria di sostenere gli studi musicali del proprio nipotino, talentuoso pianista in erba, pagando al bambino quelle lezioni a cui la mamma cassiera e il papà camionista non riescono a fare fronte. La sottrazione dei resti monetari ad alcune delle persone da lei amorevolmente accudite forma, nel tempo, il gruzzoletto necessario a tale scopo, ma l’affiorare della verità fa prendere coscienza a tutti di cosa voglia significare davvero la parola ‘felicità’.
Animato da un flusso di malinconica, intima familiarità, La pie voleuse è pervaso da una grazia leggera e antica, un legame sotterraneo che unisce spiriti inquieti e tratteggia destini al tramonto, contrapponendosi agli sgambetti della vita e ad una fasulla ricerca del benessere, ricucendo caratteri apparentemente inconciliabili e rimediando alle bugie pronunciate a fin di bene.
Pierce
Infine, premiato meritatamente da Karlovy Vary per la regia, Pierce, opera prima di Nelicia Low, mette anche in questo caso il proprio protagonista di fronte ad un dirimente bivio etico in ambito famigliare. Thriller psicologico dalla struttura narrativa che richiama l’arte della scherma, fatta di movimenti che celano le vere intenzioni e di rapidi affondi (la Low, non a caso, è stata campionessa di questa disciplina nella squadra nazionale di Singapore prima di passare dal fioretto alla macchina da presa), Pierce, basato su un fatto di cronaca, indaga la complessa relazione tra due giovani fratelli, uniti dalla passione per la spada ma divisi da un passato macchiato da una grave colpa e riemerso sotto forma di pressanti dubbi morali.
Con soluzioni registiche accurate e suggestive, il gioco di avvicinamenti e rilasci tra i due ragazzi suscita un acceso interesse nello spettatore, immergendolo in una cornice umana tanto aspra quanto sensibile. Generando, nel più piccolo dei fratelli, una consapevolezza dolorosa, caricata su fragili spalle ma talmente pressante da riuscire a tenere unito un rapporto destinato, invece, ad annullarsi.
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