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SATURDAY NIGHT (Jason Reitman)
Le due ore che cambiarono la storia della tv americana

Era l’11 ottobre del 1975 quando la prima puntata del Saturday Night fu trasmessa in diretta in seconda serata sulla NBC. Ideato e creato da Lorne Michaels, lo show newyorkese ambiva a lanciare in tv il talento comico underground espresso da giovani stand up comedians e scrittori satirici per lo più presi all’ultimo momento e spesso non pagati. Il successo fu immediato suggellando l’inizio di una delle più iconiche trasmissioni televisive americane di sempre. E se è vero che da quella primordiale fucina esplosero star di primo livello come John Belushi, Dan Aykroyd, Billy Cristal e Chevy Chase, solo per elencarne alcune, la produzione della prima puntata fu tutt’altro che semplice, essendo ostacolata dai vertici della National Broadcasting Company fino all’ultimo secondo per poi arrendersi all’evidente potenza del suo concept. Sono dunque le incredibili due ore precedenti la messa in onda dello show a costituire il plot del 10mo lungometraggio di Jason Reitman, sceneggiatore e regista che s’affezionò alle origini del Saturday Night da quando fu invitato per il suo film Juno.

Quella che informa Reitman è una commedia corale dal ritmo forsennato, perfettamente intonata a quelle che probabilmente furono le ultime ore di uno spettacolo per nulla certo di vedere la luce. Tamburellante e autonomamente coeso come un pezzo di freejazz, il film riesce non solo a restituire la fedeltà di quei tempi, con una messa in scena e uno stile di regia piacevolmente vintage, ma adopera la sua forza dirompente per veicolare il significato simbolico di quello show destinato a cambiare il paradigma del medium televisivo commerciale, a partire dalla controcultura che diventa cultura di massa con un effetto domino mondiale fino a dar vita alle più moderne frange del talent show. Su un modello di cinema palesemente mutuato dal maestro della coralità Altman, il cui Radio Days echeggia da ogni fotogramma senza esserne la copia, Reitman riesce nel prodigio di una scrittura e una regia coincidenti quasi al tempo reale della narrazione in una pressoché unità di luogo, un fulgido esempio di cinema che riesce a utilizzare spazi, tempi e attori al meglio delle possibilità.

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.