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FREEDOM ON FIRE (Evgeny Afineevsky)
Un documentario in presa (quasi) diretta sulla guerra in Ucraina

Freedom on Fire è un documentario quasi in presa diretta sulla guerra in Ucraina che si può leggere attraverso due diverse prospettive. Si può dar peso alla situazione emotivamente esplosiva della guerra, che certamente è un evento che travolge il mondo intero e non può lasciare indifferenti, soprattutto se ci si mostra le terribili difficoltà alle quale deve andare incontro il popolo ucraino. D’altra parte, però, in una Mostra del Cinema non si può evitare di ragionare anche sull’altra prospettiva e avanzare perciò considerazioni di carattere squisitamente cinematografico.

Da questo punto di vista il film propone immagini per lo più già tristemente note perché viste in telegiornali e sul web. A questo si aggiungono interviste a persone comuni travolte dalla tempesta bellica. Non si danno informazioni in più per comprendere la situazione geopolitica, ma non si penetra nemmeno a fondo nella psicologia delle persone, che comprensibilmente non fanno che biasimare il nemico e la sua diabolica violenza. Molto si indugia sui bambini, che sono sì vittime innocenti ma sono anche quelli che smuovono più facilmente le reazioni emotive degli spettatori. Ma l’urgenza della materia fa perdere di vista la complessità. C’è un certo orgoglio patriottico nel vedere bambini che si augurano la morte dei russi, anziché pensare che questo è parte integrante dell’abbrutimento a cui conduce la guerra. Se lo scopo è far capire chi è dalla parte del torto e chi dalla parte della ragione (cosa già evidente a tutti), il mezzo facilmente emotivo pare il meno efficace. Facile per noi dirlo, si obietterà, comodamente seduti sulle nostre persone, ma era un pensiero che aveva per esempio Primo Levi che parlava dal di dentro della tragedia, sempre con grande lucidità e complessità. Invece questo film non aiuta a ragionare e non segue storie di vita se non per pochi minuti.

C’è poi un ragionamento più ampio. Viviamo nella società delle immagini, il loro abuso porta un rischio di assuefazione, è necessario utilizzarle con parsimonia, per tornare a conferire senso a una realtà bruciante come quella della guerra. Il fatto che, per esempio, si tornino a vedere in questo film le immagini atroci del reparto di maternità e ostetricia dell’ospedale di Mariupol, anziché aumentare la nostra indignazione rischia di farla diminuire. Il cinema deve fare i conti con tutto questo. Altrimenti è altro, che conserva il suo significato nell’urgenza del dire, nel comprensibile bisogno di condividere, nel nobile giornalismo di denuncia, ma, appunto, non è cinema.

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Sull'autore

Alessandro Cinquegrani