La riconciliazione è con le altre persone.
Il perdono è tra me e me stesso.
Vincitore del “Prix de la liberté” a Cannes 2023 e primo film in assoluto selezionato dal Sudan per la corsa all’oscar come miglior film internazionale, l’esordio alla regia di Mohamed Kordofani non è solo l’opera che ben rappresenta l’alta qualità tematica e formale raggiunta dal cinema africano contemporaneo, ma anche un titolo seminale per la cinematografia sudanese. La vicenda di cui sono protagoniste due donne e ambientata a Khartoum durante il quinquennio che precede la separazione tra Sudan e Sudan del Sud del 2011 infatti, restituisce icasticamente la divisione — insieme politica, religiosa, sociale ed economica — di un paese non riconciliato, dilaniato dalle guerre civili e stordito dai colpi di stato militari che si susseguono ininterrottamente dalla sua proclamazione d’indipendenza del 1956. Una divisione tra il Nord arabo e musulmano e il Sud africano e cristiano perfettamente iscritta nella collisione esistenziale che si verifica tra Mona, ex-cantante appartenente all’upper-class della capitale, costretta a rinunciare alla propria carriera a causa delle restrizioni impostele dal marito, e Julia, giovane madre che si ritrova improvvisamente a crescere il proprio bambino da sola. Merito soprattutto di uno script levigato e profondo, capace di far rispecchiare la grande Storia nelle piccola, ovvero gli eventi che caratterizzano la prima con i riflessi che essa determina nelle vite individuali, così come di trovare il giusto equilibrio tra dramma politico e thriller esistenziale, tra la descrizione di un territorio incandescente e la rappresentazione dei contraddittori percorsi di vita che lo animano. Il pregio di Goodbye Julia tuttavia non è solo qui, poiché il discorso si sviluppa su un ulteriore livello. Portandolo a essere – anche e soprattutto – un’opera sul non-detto, sulle reticenze, sulle zone d’ombra prodotte da un contesto culturale, religioso e politico fortemente condizionato da razzismo, sessismo e discriminazione. E rendendolo in tal modo un vibrante dramma sulla verità e sulla menzogna, sulla fiducia e sul perdono, sulla labile linea di confine che separa la vittima dal carnefice.
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