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I CIRCOLI CHE GESTISCONO LE SALE
Un valore aggiunto di capitale importanza custodito dall'Ancci

Può sembrare quasi scontato, e addirittura retorico, celebrare gli equipaggi che popolano e arricchiscono, con il loro lavoro e la loro umanità, quei luoghi di accesso al mondo (non solo a quello della cultura) che sono le Sale della Comunità. Non lo è per diversi aspetti, in primis perché il bene – anche quello con la b minuscola – va sempre raccontato, perché niente nutre come una speranza ben fondata. In secondo luogo, perché nulla è ovvio nelle circostanze inaspettate di questo periodo storico, oscuro sì, ma proprio per questo rivelatore: è nel buio più fitto che ci si accorge della presenza di alcune piccole sorgenti luminose. Il Covid può chiudere una sala ma non le sue idee e il suo progetto culturale, in un mercato già molto competitivo ma di cui la pandemia sta riscrivendo per l’ennesima volta le regole. Un contesto, tra l’altro, in cui poter disporre di volontari è un valore aggiunto di capitale importanza. Gratuità totale, la loro, e gratitudine commossa, da parte nostra e di tutti.

Se le sale sono la struttura ossea, i cineclub sono i cuori pulsanti. Ne abbiamo ascoltato il battito, e conosciuto i loro nomi – di luoghi, di santi o di film indimenticabili –, eredità di un passato di cui essere fieri, di un vissuto sedimentato in un territorio, o di una passione e un gusto, che sempre guardano alla storia per essere certi delle proprie radici. Ma che sempre guardano anche al futuro, per continuare a essere generativi. Questo permette a chi ha risposto alle nostre domande di poter svolgere un lavoro improntato alla laicità (nel senso più sano del termine), sganciato dalle attività più strettamente pastorali e abile a intercettare l’attenzione di un pubblico il più eterogeneo possibile, attratto innanzitutto dall’alto livello della proposta.

“L’intuizione felice che nel 1973 ha portato alla costituzione dell’ANCCI all’interno dell’ACEC – afferma Massimiliano Eleonori, Presidente ANCCI – ha consentito ai nostri circoli di aggiornare la propria mission in coerenza con l’evoluzione della sala della comunità, adeguando la propria offerta culturale alle nuove sfide del mercato cinematografico senza perdere il prezioso retaggio dell’esperienza dei cineforum, che negli anni ’60 e 70 hanno contribuito in maniera decisiva alla formazione di intere generazioni di autori e di spettatori. Questo breve reportage ci offre uno spaccato parziale, ma estremamente significativo, dell’impegno e della qualità delle iniziative dei circoli ANCCI, avamposti e presidi della cultura cinematografica al servizio della collettività, ben oltre i confini della comunità ecclesiale”.

E anche lì dove il legame tra l’associazione di cultura cinematografica e la parrocchia si fa più stretto, “la consapevolezza del grembo ecclesiale di provenienza” – rubiamo le parole di Arianna Prevedello – “è ormai vissuta con quella autonomia filiale che consente a ciascuna di queste realtà di essere un unicum nel panorama italiano”. O, come testimoniato da più di una delle squadre, è proprio la coscienza di essere “complementari al tempio” (non sovrapposti, quindi, ma neanche alternativi) a rendere autenticamente liberi.

Elia Orselli ci parla del Circolo Cinematografico Cappuccini APS di Imola, intimamente legato al luogo in cui sorge, il convento dei frati cappuccini della città romagnola. Il convento, che fino ai primi anni Ottanta ospitava il seminario minore dei frati della provincia di Bologna e della Romagna, conteneva una sala cinematografica, destinata proprio ai seminaristi, che era abbandonata da anni. Un gruppo di giovani che frequentava il convento, con il sostegno dei religiosi, propose di riaprirla per dare vita al primo cineforum di Imola, nel momento in cui la città, non priva di sale commerciali, sentiva però la mancanza di un luogo che mettesse il cinema al centro di una iniziativa dal respiro più ampio. “Il circolo è quindi laico nella strutturazione” – dice Elia – “ma attento e collegato alla vita del convento. Si può dire che sia una delle porte aperte dal convento alla città”. La sua attività “si pone come occasione di riflessione e di incontro per persone di tutte le provenienze, forte della sua riconoscibilità nel contesto di Imola” ed è frutto “di una capacità maturata nel tempo dai volontari, appassionati di cinema e attenti a selezionare opere capaci di parlare al pubblico più vario possibile”. Raccolta l’eredità del compianto Enzo Mantoan (presidente del circolo fino al 1999, se ne può leggere un toccante ricordo sul sito del cinecircolo), gli attuali gestori lavorano a un palinsesto che aiuti il pubblico – nella scia dell’insegnamento del loro maestro – “a tenere gli occhi aperti e a riflettere sulla realtà che ci circonda, spaziando tra le tematiche più varie ma senza dimenticare mai qualche commedia, che permetta di alleggerire il peso del respiro della quotidianità”. Così, per una comunità tenuta continuamente viva, in tutta la sua gamma emotiva e attraverso le sue “porte aperte”, l’imposizione di un lockdown è solo una pausa di riflessione. Che, siamo certi, nel frattempo genererà altri frutti.

Mattia Bertaina ci presenta il Circolo Méliès di Busca (in foto), in provincia di Cuneo, esempio di come la validità di un progetto permetta di costruire solidi ponti oltre il perimetro che contiene lo schermo e la platea: “L’attività di sala rappresenta una parte delle azioni che il Circolo mette in campo, una fetta notevole ma non l’unica”. Il fiore all’occhiello è senz’altro la fondazione della Cineteca Sergio Arecco, inaugurata a fine 2019, in collaborazione con il Comune, uno spazio ospitante migliaia di opere tra film in vari formati, libri e annate di riviste dall’altissimo valore documentario. “La Cineteca prende il nome dalla donazione del critico Sergio Arecco, che ha passato la vita a collezionare film e scrivere di cinema. Per sua espressa richiesta, ci siamo impegnati a catalogare le opere (per concludere avremo bisogno ancora di un paio di anni…) e renderle disponibili sul sistema bibliotecario nazionale”. La Cineteca affianca quindi il Cinema Lux nell’ospitare presentazioni di libri, corsi di specializzazione, proiezioni tematiche, attività congressuali, in un polo nevralgico culturale riconosciuto per la sua autorevolezza ormai ben oltre la cittadina di Busca. “Nelle rassegne proponiamo anche le pellicole che per vari motivi hanno difficoltà nell’accesso alle sale e alla visibilità da parte del pubblico”. Una platea che va coinvolta anche “allargando lo spettro degli ospiti ad altre nobili mansioni del mondo del cinema, poco note al pubblico, dai doppiatori ai montatori, dai truccatori ai produttori”. La realtà tutta intera – verrebbe da dire – in cui il cinema, nella sua vastità e nelle sue pieghe sconosciute, davvero è lo specchio del mondo.

Gemello di quello di Busca, anche nel nome, è il Cineclub Lumière di Centallo (sempre in provincia di Cuneo), fervoroso pensatoio all’interno del Nuovo Cinema Lux. Elio Giacoma ricorda la figura di don Giovanni Aimetta, “di grande visione, generosità e lungimiranza” che venticinque anni fa affidò a un gruppo di giovani la gestione della sala, fidandosi della strada che intravide davanti a loro. “Il confronto libero con la parrocchia c’è sempre stato ma abbiamo sempre potuto muoverci in autonomia, anche grazie al numero e all’entusiasmo dei volontari. Siamo partiti in tanti e siamo rimasti tanti, sessanta o settanta persone, con picchi di cento, alcuni anni”. Manna dal cielo. “Siamo un gruppo in cui è stato facile andare d’accordo tra di noi ma non era scontato restare una entità super partes a livello cittadino, interagire con chiunque e dare a tutti le possibilità offerte da un luogo del genere”. La sala diventa così il contenitore di eventi tra i più vari, dal teatro ai concerti dal vivo (dal jazz a Matthew Lee, dal pop locale a quello regionale), dai dibattiti in periodo elettorale ai corsi di formazione. “Si tratta di un punto di riferimento a 360° per tutti coloro che ne hanno bisogno, anche negli altri comuni”. Con una particolarità: “Come cineclub abbiamo messo a disposizione la struttura per ragazzi che si dilettano con le nuove tecnologie video”. Il Nuovo Lux diventa così “teatro di posa” – ovvero set per videoclip e cortometraggi – per quei giovani che si stanno inserendo nel mondo del lavoro, nell’ambito della comunicazione o dello spettacolo. “Dopo la produzione, i ragazzi possono usufruire dei nostri strumenti anche per la post-produzione e la proiezione al pubblico. L’interazione tra schermo e social permette poi di promuovere questi prodotti anche all’esterno, che hanno attratto alcune band che dai nostri ragazzi si sono fatti produrre video. Si è creato così un connubio, un circolo virtuoso, dove la sala diventa sempre di più un punto di riferimento, e dopo venticinque anni cresce la gratitudine per chi all’inizio ha investito sia economicamente che sull’umano.

Altro lavoro certosino è quello del Cineforum G. Verdi di Breganze, provincia di Vicenza, una associazione di cultura cinematografica operativa dal 1975 che conta decine di volontari, assoldati spesso tra gli spettatori, poi diventati soci, e poi sentitisi talmente “a casa” da voler entrare a far parte della famiglia. “La nostra missione” – ci racconta Gianni Benincà – “è riuscire a far uscire di casa le persone che possono incontrarsi e vedere assieme un cinema mai banale e animare il paese anche alla sera. E i dibattiti su argomenti seri e appassionati si prolungano non solo dopo la visione del film (e i giudizi possono essere “memorizzati” perché espressi immediatamente usando dei totem a touch screen ubicati all’uscita dalla sala, uno dei modi per conoscere i gusti del pubblico) ma anche la mattina dopo dal panettiere”. La cura si vede da molti altri particolari magari impercettibili, come le recensioni dei film non tratte da riviste o siti specializzati ma scritte dagli esperti in forza al “club” (che nulla hanno da invidiare alle prime) pensando espressamente ai loro spettatori di riferimento, o alla tenacia con cui si cerca tutte le volte che si può di avere in sala i protagonisti dei film che dialoghino con il pubblico, creando occasioni memorabili. Un pubblico sempre più competente, tra l’altro, attrezzato grazie a un corso formativo tenuto la domenica mattina dal prof. Matteo Asti, seguito da un centinaio di persone. Dal profumo del pane appena sfornato alla tecnologia più avanzata, per una vita che brulica nella cittadina e attrae sempre di più gente anche dai comuni limitrofi. Una descrizione che in piena emergenza pandemica ci rende consapevoli di quanto la perdita di qualcosa ce ne faccia conoscere il valore.

Chiuso temporaneamente il Cinema-Teatro S. Teresa a Verona, causa Covid, il Circolo Culturale di Tombetta (che prende il nome dal quartiere dove è sito) si è organizzato con degli incontri on-line, da seguire sulla piattaforma Zoom, con autori cinematografici di primissimo piano tra cui Francesco Bruni e Francesco Amato, promossi da ACEC (e in sinergia con il Cineforum Capitan Bovo di Isola della Scala), che ha saputo ovviare all’impossibilità di incontrarsi di persona con cinque lezioni davvero appassionanti. Paolo Bertolini ci ha raccontato di come una vecchissima sala stava per diventare un supermercato all’inizio degli anni Ottanta ma, grazie a un gruppo di giovani motivati, è riuscita a sopravvivere, ospitando per i primi dieci anni solo spettacoli teatrali e musicali e poi, ottenuti i fondi, attrezzandosi anche per il cinema. “In quegli anni” – racconta Paolo – “ci siamo fatti le ossa e abbiamo iniziato a imparare”. Di strada ne è stata fatta tantissima, con lo scopo di sottrarre le persone agli schermi televisivi e farle incontrare “in una sala accogliente e viva”, creando una vera comunità, attraverso “una proposta intelligente, sia essa di svago o culturalmente intensa, ma sempre di buon gusto e vivace”. Unica nota dolente, l’età media che si innalza, sia quella dei volontari sia quella degli spettatori, dove i social network e Netflix sono solo alcune cause della diaspora: “La situazione è molto diversa dagli anni Ottanta quando siamo partiti. All’epoca i giovani avevano ambizioni diverse e più voglia di darsi da fare in ambito sociale. Ora i giovani sono costretti, una volta finiti gli studi, a cercare lavoro al di fuori dei confini del luogo di nascita, spesso all’estero. Di conseguenza un giovane che si appassiona alla nostra realtà, prima o poi è costretto a lasciare”. La speranza, però, è l’ultima a morire: “Uno dei nostri obiettivi è di ringiovanire la nostra platea; il come non è ancora chiaro, ma magari, passato questo orribile momento di pandemia, attraverso degli accordi con gli istituti scolastici superiori si potrà organizzare qualcosa di più specifico per loro”. Cosa lascerà questo periodo, quali desideri e quali bisogni, è presto per dirlo, ma senz’altro ogni crisi prepara una rinascita. E c’è ancora tempo perché qualcuno raccolga il testimone di chi ha iniziato quest’opera quarant’anni fa.

Sempre a Verona, Renato Bartoncelli ci introduce nel cinecircolo del Cinema Teatro San Massimo, una storia ultracentenaria, essendo iniziata nel 1906 quando era attiva “una fantastica filodrammatica”. Scorrono gli anni, passano due guerre e arrivano i fantastici Sixties, quando il teatro la fa ancora da padrone fino al 1980. Quarant’anni fa fu acquistata infine la licenza, così che all’attività teatrale, che conta tutt’ora due compagnie, potesse affiancarsi quella cinematografica. Teatro e musica rimasero fondamentali per l’identità della sala e la fedeltà del pubblico, con alcune eccellenze (il coro di voci bianche, che si è esibito più volte nel contesto esclusivo dell’Arena) e il desiderio – allargandosi ad altre forme di spettacolo e attività – di fornire al quartiere e alla città un’offerta diversificata capace di intercettare gli interessi più vari. Grazie al digitale e al satellite, il pubblico dei balletti, dei musical e dell’opera lirica ha riempito le poltroncine che, per i cineforum, registrano una maggioranza schiacciante del pubblico femminile. “Ci sembra di lavorare bene, e di avere una identità riconosciuta e da proteggere; lo capiamo dai numerosi attestati di stima e fiducia ricevuti durante la chiusura”. A un’opera simile non basta però la cordialità per funzionare. “Sicuramente abbiamo portato nel piccolo una cultura di tipo aziendale, adeguando la nostra esperienza lavorativa precedente alla realtà attuale. E poi il nostro è un sistema misto, diciamo così, perché oltre ai volontari c’è anche personale assunto a tempo indeterminato. Questo ci permette di fare due cose: la prima, svolgere una funzione sociale dando lavoro alla gente; la seconda, trattenere le brave persone da noi il più possibile, in modo che maturino una esperienza del mondo dello spettacolo, spendibile poi altrove”. Renato a questo proposito ha dei suggerimenti: “Molte Sale della Comunità avrebbero questa possibilità, funzionare al proprio interno in modo più aziendale, e nel modo in cui l’ACEC sta affrontando le problematiche attuali, con corsi di formazione originali mai fatti prima, vedo una maturazione che porterà senz’altro a un miglioramento qualitativo dell’offerta di tutta la rete e allo sviluppo di progetti interessanti per affrontare il prossimo futuro”. Con una formula conclusiva che ci è piaciuta molto: “Siamo laici nella proposta ma il nostro stile è quello della comunità cristiana. Uno stile avvincente”.

Don Giampiero Cinelli è il presidente del circolo Don Mauro – Nel corso del tempo di Ascoli Piceno, associazione di cultura cinematografica che ha visto il sostegno da subito di un concittadino d’eccezione, l’amico regista Giusppe Piccioni. Già il doppio nome del circolo la dice lunga, unendo al sacerdote ispiratore dell’attività (un punto di riferimento sociale e culturale del quartiere di Monticelli nei decenni precedenti) a uno dei titoli di Wenders a cui lo stesso don Mauro, espertissimo del regista tedesco, era legato. Don Giampiero elenca le collaborazioni con tutte le realtà istituzionali (Comune e Regione) e culturali del territorio, tra cui Libera – nomi e numeri contro la mafia, e il carcere di Ascoli, i cui detenuti sono potuti uscire per assistere ad alcune rappresentazioni teatrali. Il piatto forte del cineclub, grazie all’amicizia con Piccioni, è da sempre l’approfondimento sul cinema italiano, con almeno un grande evento all’anno che vede protagonista un autore presente in sala in dialogo con gli spettatori. “Quella bella serata di Ascoli” – questo il ricordo per esempio di Daniele Luchetti – “ha fatto capire meglio a me e a mio figlio che il mio lavoro è una cosa che vale la pena fare”. O ancora, Andrea Magnani che ha definito il lavoro del Don Mauro come qualcosa “che agisce per coinvolgere e per convergere, che poi è il senso stesso del cinema”.

L’elenco di iniziative, collaborazioni e testimonianze sarebbe davvero lunghissimo (rimandiamo al bel libro Cinecircolo Don Mauro-Nel corso del tempo. Dieci anni insieme appassionatamente 2008/2018, Capponi, Ascoli Piceno 2019). Citiamo però un’idea particolarmente innovativa che purtroppo la chiusura per la pandemia non ha permesso di ultimare, la rassegna “Film con delitto”, che proponeva un format misto con proiezioni di film e rappresentazioni teatrali. Un modo per coinvolgere il pubblico, mostrando la scena di un giallo e affidando poi ad attori presenti in sala la rappresentazione del seguito, una costola del film, in cui gli spettatori, divisi in gruppi, devono individuare l’assassino. “Il progetto” – spiega don Giampiero – “era di farlo diventare un concorso per le compagnie teatrali ma è rimasto per ora nelle buone intenzioni per colpa del Covid”.

Don Giampiero non dimentica di essere un sacerdote ma non teme di parlare con noi di laicità come della virtù propria dei cristiani, quella che permette loro di essere sale della terra: “La fede non va rinchiusa nelle sagrestie. Un coinvolgimento a tutto tondo, attraverso lo spessore della proposta culturale, permette alla realtà ecclesiale di tenere il cuore aperto a tutte le dimensioni dell’umano”.

Con Carlo Barazzetta, che è innanzitutto un amico, e Pietro Varisco, conosciamo infine il Cinecircolo La strada di Carugate, in provincia di Milano che, fin dalla sua fondazione, ha sempre cercato di mettere in rassegna film che creassero un ponte e un dialogo con le realtà presenti sul territorio. Per il film Il campione è intervenuto in sala il papà del calciatore di serie A Cristiano Biraghi. Per il documentario La botta grossa (sul terremoto dell’Italia centrale del 2016), una equipe reduce da un’esperienza si supporto psicologico con la popolazione di Amatrice, nei giorni successivi al sisma, e così via. Ai cineforum e ai corsi di approfondimento in sala si aggiungono, poi, per i soci, le visite guidate sui luoghi della settima arte, come per esempio il Museo del Cinema di Torino. Negli anni è stato sempre più chiaro, grazie al rapporto coltivato con il pubblico, quanto la visione di certi film destasse, a partire dalla curiosità per i temi proposti, un interesse sempre più profondo sull’umano che vi era sottinteso, generando poi crescite personali: “Ciascuno a suo modo è attratto dal cinema” – ci dice Pietro – “ma in un contesto come questo la semplice partecipazione di uno spettatore a una serata matura sempre in qualcosa d’altro, e i film diventano davvero strumenti, oggetti da guardare ma poi, progressivamente, da leggere, interpretare e vivere intensamente”. Carlo racconta di un pubblico sempre più coinvolto, che diventa un interlocutore concreto a cui è data la libertà di fare proposte – e vederle accolte – sui titoli della rassegna. “A guidare i cineforum è poi un critico esterno, cioè non uno di noi ma qualcuno che faccia da collante tra noi e gli spettatori in platea, una figura intermedia che possa stimolarci tutti”. Un compito cui il circolo La strada non si è sottratto neanche durante i mesi di chiusura nell’inverno 2020, quando a fare compagnia alle persone a casa sono stati gli approfondimenti del critico Marco Maderna, sospesi tra filosofia e cinefilia: un appassionante cineforum a puntate che ha guidato gli spettatori dentro il loro desiderio di tornare in sala, e che ha visto una felice ultima puntata su Frank Capra e La vita è meravigliosa, uscita la sera della vigilia di Natale, dal titolo augurale “Bentornato, Io!”. Che sia davvero un incoraggiamento per tutti.

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Sull'autore

Raffaele Chiarulli

Guido un workshop di critica cinematografica presso l'Università Cattolica di Milano e insegno cinema dalle scuole materne alle università della terza età.