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Il cinema italiano premia i suoi talenti
Così il nuovo corso dei David di Donatello

Nove premi a Dogman di Matteo Garrone, fra cui quelli per il miglior film, regia, sceneggiatura originale e attore non protagonista Edoardo Pesce. Migliori protagonisti Alessandro Borghi per Sulla mia pelle di Alessio Cremonini (che vince anche come miglior esordio e produzione) ed Elena Sofia Ricci per Loro di Paolo Sorrentino (il grande assente della serata). A Nanni Moretti il David per il documentario Santiago, Italia mentre ad Alfonso Cuaron – appositamente arrivato in Italia – quello per l’opera straniera andato al suo Roma. Premiati alla carriera Tim Burton, Dario Argento, Uma Thurman e Francesca Lo Schiavo.

Dogman piglia-tutto

Ecco in sintesi il cuore della 64ma edizione dei Premi David di Donatello, la prima sotto piena presidenza di Piera Detassis che ha voluto e apportato all’Accademia del cinema italiano una sana e radicale modifica. La cerimonia, trasmessa su Rai Uno in prime time e condotta da Carlo Conti, non ha registrato colpi di scena particolari sia rispetto al “contenitore” (uno show senza fronzoli pur rimanendo troppo lungo) che rispetto ai contenuti, ovvero le previsioni di vittoria. Con 15 candidature trasformate in 9 David, il film di Matteo Garrone ha confermato il plauso unanime riferito alla supremazia qualitativa espressa, non solo in termini autoriali ma anche delle maestranze coinvolte (Dogman ha portato a casa anche i riconoscimenti per fotografia, montaggio, scenografia, trucco e suono), una grande soddisfazione per il cineasta romano che ha confessato ancora una volta quanto questo film fosse “nel cassetto da così tanti anni che ormai sembrava dimenticato. L’ho fatto come di passaggio, in attesa di Pinocchio”. Fra le poche nomination non mutate in premio dal film di Garrone c’è quella di Marcello Fonte a cui è stato preferito Alessandro Borghi: una scelta oculata da parte dell’Accademia che ha apprezzato la trasformazione estrema del giovane attore nel corpo sfibrato di Stefano Cucchi; a lui Borghi ha dedicato il premio ma non solo, “anche agli esseri umani e all’importanza di essere considerati tali a prescindere da tutto”. La commozione è arrivata anche nella consegna dei premi alle attrici: da una parte alla grande Elena Sofia Ricci per la prima volta omaggiata col David, meritevole di aver vestito i panni di Veronica Lario in maniera ineccepibile, dall’altra alla splendida ma poco celebrata Marina Confalone, premiata come miglior non protagonista per Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis.

Premi alla carriera e omaggi dimenticati

E se Nanni Moretti ha ricevuto il suo nono David in carriera (a fronte di 44 candidature!) ma per la prima volta per un documentario, l’entusiasmo è arrivato dal duetto Tim Burton-Roberto Benigni, due inimitabili creatori di fiabe nonché numi tutelari dei Sogni segreti di grandi e piccini. A modo suo, anche Dario Argento è stato un creatore di sogni però sul versante incubo: l’Accademia non l’ha mai premiato in 40 anni di carriera e questa sera ha ricevuto il suo primo David ma alla carriera, “troppo tardi” ha commentato il maestro italiano dell’horror. In platea ad applaudirlo c’era anche il “discepolo” Luca Guadagnino che – da parte sua – ha ricevuto due riconoscimenti quasi “obbligati” per il suo Chiamami col tuo nome: alla miglior sceneggiatura non originale e alla miglior canzone, rispettivamente già vincitrice e candidata agli Oscar lo scorso anno. E, a proposito di canzoni, Andrea Bocelli si è esibito sul palco prima in solitaria e poi col giovane figlio Matteo mettendone in evidenza il talento vocale. Un momento questo, decisamente di classe rispetto al Dieci ragazze per me intonato dal cast di A casa tutti bene di Gabriele Muccino, vincitore del David per il film con il maggior numero di presenze nei cinema nel 2018: ma anche questo, va detto, è show e dunque non va stigmatizzato. Va segnalato come nota di demerito, invece, il mancato omaggio all’immenso Ermanno Olmi, scomparso lo scorso anno. Se uno speciale momento di memoria è stato rivolto a Bernardo Bertolucci e Carlo Vanzina, ci si chiede perché altrettanto non sia stato fatto al regista de L’albero degli zoccoli. Certamente se ne sarà accorta la sua “allieva” Alice Rohrwacher, il cui magnifico Lazzaro felice è – purtroppo – uscito senza alcun David dalla serata.

 

Questo articolo è un’anticipazione del numero 2/2019 di SdC – Sale della Comunità

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.