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JOHN McENROE – L’IMPERO DELLA PERFEZIONE (Julien Faraut)
Un documentario esemplare sulla Verità, nel cinema come nel tennis

Con un assemblaggio perfetto fra immagini d’archivio e nuove elaborazioni computerizzate, il filmmaker e conservatore dei filmati all’Institut National du Sport francese Julien Faraut, riesce a organizzare un’inedita riflessione filosofica e poetica sul dialogo teorico fra tennis e cinema. All’origine – e causa scatenante – del progetto è l’accostamento del “gesto umano e tennistico” di John McEnroe, un campione di genio e sregolatezza capace di viaggiare in parallelo a una narrazione cinematografica.

John McEnroe non è stato il tennista perfetto. Allo stesso modo non ha rappresentato la perfezione dell’atleta e del professionista né, tanto meno, dell’essere umano. Donde nasce, dunque, il titolo “John McEnroe – L’impero della perfezione”? La risposta è di una semplicità disarmante e risponde al vocabolo “Verità”: McEnroe non ha mai mentito, nel bene e nel male, e in tal senso incarna la perfezione relativa a ciò che è vero in opposizione a ciò che è falso, come ad esempio l’arte cinematografica. Ad affermarlo non è uno qualunque, ma Jean-Luc Godard – nume tutelare del qui regista Julien Faraut – “Il cinema mente, lo sport no”. Un assunto che suona da provocazione filosofica, una vera bomba concettuale su cui costruire etica ed estetica. La palla al balzo è stata colta da Faraut che, partendo dagli archivi dei filmati in 16mm degli anni ’80 girati al Roland Garros e preservati all’Institut National du Sport di cui è curatore, ha costruito una riflessione suggestiva e potente sull’ideale di perfezione rappresentato appunto dal tennis del grande tennista statunitense. Ma attenzione, quello di Faraut non è il classico documentario sul tennis né, tanto meno, su McEnroe. Si tratta di un “oggetto filmico” coraggioso e quasi “sperimentale” che alterna parallelismi e convergenze fra l’essenza dello sport (in questo caso il tennis giocato da JM) e quella del cinema, in una decodifica di entrambi i gesti – considerati quasi delle emanazioni fenomenologiche – alla ricerca e scoperta del binomio verità/falsità. Il risultato è sorprendente: con una capacità creativa e immaginifica di rara pertinenza, Faraut riesce a dimostrarci quanto “la messa in scena” di John McEnroe sia coesa al “fare cinema” e quanto egli di fatto possa risultare sceneggiatore, regista e protagonista del suo film. In tal senso verità & falsità arrivano a suonare insieme, in un’armonia che scioglie le opposizioni e che ci riporta al cuore del cinema, laddove anche ciò che è falso appare – magicamente – vero agli occhi dello spettatore. John McEnroe – L’impero della perfezione esplode di significati, rimandando – anche – alle nozioni di generi cinematografici e alle classificazioni dei documentari, al punto da divenire una (vera!), purissima e straordinaria lezione di cinema, un esempio concreto di riflessione (specie in chiusura con la narrazione psicodrammatica della finale di Roland Garros 1984 fra McEnroe e Ivan Lendl) sul dispositivo audiovisivo e sulle sue incredibili potenzialità. Tennis e cinema non si sono mai “parlati” così bene come nella perfezione di questa sceneggiatura. Premiato come miglior film alla 54ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

Regia: Julien Faraut

Documentario – Francia 2018

Durata: 91′

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.