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LA DOPPIA VITA DI MADELEINE COLLINS (Antoine Barraud)
Madre a metà

Judith conduce un’intensa doppia vita tra la Svizzera e la Francia. Da una parte c’è Abdel e una bambina, dall’altra Melvil e due figli più grandi. A poco a poco questo delicato equilibrio costruito su bugie, segreti e un costante andirivieni, si sfalda con l’incalzare degli eventi. Presa in trappola, Judith prova a scappare da tutti, ma la situazione presto le sfugge di mano.

Il tema del “doppio” sembra attraversare carsicamente il cinema del francese Antoine Barraud. Lo si nota già dando uno sguardo ai titoli della sua filmografia, dove spesso il testo originario si raddoppia in uno simile benché differente — è il caso del cortometraggio Abismo (2013), adattamento del lungo Les gouffres (2012), o del documentario Rouge, le portrait mensonger de Bertrand Bonello, adattato dal suo terzo lungometraggio Le Dos Rouge (2015) —, ma anche esplorandone le direttrici che l’attraversano.

Non è dunque certo il tema la novità che informa La doppia vita di Madeleine Collins, quanto piuttosto il fatto che esso segni una trasformazione dell’enunciazione dell’autore di Aulnay-sous-Bois, o quantomeno della sua vocazione originaria. Perché quello di Barraud è un cinema caratterizzato fin dagli esordi dalla sperimentazione e da una libertà espressiva che difficilmente lo ha fatto scendere a compromessi, e che qui sembra adottare invece un modello narrativo sostanzialmente “classico”. Non solo perché vi si trovano più o meno evidenti reminiscenze hitchcockiane-depalmiane — dall’individuazione della protagonista bionda all’adozione di alcuni stilemi, a cominciare dal pianosequenza in apertura che sembra essere una filiazione linguistico-espressiva, oltre che una sorta di dichiarazione di poetica attraverso l’utilizzo che fa del fuoricampo —, ma soprattutto perché è l’alternanza tra le due situazioni vissute dalla protagonista a dettarne la drammaturgia.

Tuttavia, a ben vedere, è proprio nel modello strutturale utilizzato da Barraud che sta la buona riuscita del film, in quanto intende riprodurre la scissione identitaria della protagonista. Ne è la sua messa in forma. Una scissione che la sentita interpretazione di Virginie Efira trova poi il modo di completare, arricchendo il proprio personaggio di ambiguità e di una quantità di sfumature che ne restituiscono tutta l’evanescenza e l’inafferrabilità. Tale da renderlo, come sostiene lo stesso Barraud, indifendibile, e così rigettando continuamente lo spettatore da ogni possibile identificazione. Per rivelarci come in La doppia vita di Madeleine Collins il tema del Doppio sia in realtà solo un espediente per produrre una riflessione sulla ricerca del Sé, sulla mancanza di un baricentro esistenziale e sulle sue esiziali conseguenze.

LA DOPPIA VITA DI MADELEINE COLLINS
Regia di Antoine Barraud
Con Virginie Efira (Judith Fauvet), Bruno Salomone (Melvil Fauvet), Quim Gutiérrez (Abdel Soriano), Loïse Benguerel (Ninon Soriano), Jacqueline Bisset (Patty), Valérie Donzelli (Madeleine Reynal), Nadav Lapid (Kurt)
Francia-Belgio-Svizzera, 2021 
Durata 102′

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).