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LA SALA CHE VERRA’
Una guida per ripartire

Che Sala della Comunità avremo alla fine della pandemia Covid19? È una domanda che molti di noi si stanno chiedendo nei giorni della partenza della Fase 2, che vede la progressiva apertura delle attività commerciali e sociali.
I cinema e i teatri sono chiusi e sospesi tra la paura che i tempi per la riapertura si allunghino all’infinito e il desiderio di tornare in sala ad incontrare le persone.
I tavoli istituzionali aperti per individuare le misure e i protocolli sanitari che permettano la riapertura si susseguono con una chiara strategia che è quella di tenere insieme la sostenibilità economica e l’inderogabile messa in sicurezza delle sale.
Dentro questo lungo tempo di attesa emergono i ricordi di un passato recente che ha visto le nostre sale affrontare sfide e urgenze sicuramente meno angoscianti di questa, ma non meno pericolose per la stessa sopravvivenza delle sale. A metà degli anni novanta in Italia iniziarono a costruire i Multiplex: nel 1998 ne erano stati costruiti 8 e 26 erano in apertura. L’avvento del proiettori digitali nel 2006, che richiedendo somme di investimento considerevoli solo per il loro acquisto, stavano per segnare la fine delle piccole sale. L’arrivo, negli utili anni, delle piattaforme digitali per la fruizione streaming di film e serie televisive. Netflix, che è la più famosa, nasceva nel lontano 1998. Ad aprile 2018 raggiungeva i 125 milioni di utenti abbonati in tutto il mondo. La capitalizzazione di borsa supera i 150 miliardi di dollari. Queste tre grandi sfide (multiplex, proiettori digitali, piattaforme internet) non sono endogene al sistema cinema come invece lo è il Coronavirus. Queste tre sfide nascono all’interno dello stesso sistema cinematografico, quindi è più difficile metabolizzarle e affrontarle.
Nessuna crisi va sprecata. Certo il Covid19 ha accelerato le dinamiche di alcune criticità, che sono note a tutti noi. Come se ne esce?
Ricompattandoci attorno all’idea della Sala della comunità, che è un pensiero sempre in movimento e non dato una volta per sempre. È un’idea che muta con il passare del tempo e delle cose, ma che rimane intangibile nella sua valenza di apertura verso la realtà sociale e ecclesiale. Condividere sempre di più insieme i problemi e le questioni che ci si presenteranno, aumentando il senso dell’autostima associativa che nasce non da ripiegamenti solitari sui problemi di una o di poche sale. Passare da modelli individualistici di contrapposizione a modelli di collaborazione empatia. Usare l’economia: misurare la qualità delle nostre sale – e ce n’è tanta – attraverso strategie che mettano al centro parametri misurabili. La qualità per quanta alta possa essere si basa sempre sulla quantità. Imparare a gestire la sala diventa un impegno non più derogabile. Ogni scelta che faremo e che la sala farà dovrà essere parametrata su modelli economici. Non si può più derogare alla capacità gestionale. Il mondo cattolico è sempre bravo a dirsi il perché si fanno le cose, ma è meno propenso a dire come si fa.
Il trend del settore cinema/spettacolo era in una fase di ripresa, ma le difficoltà e le criticità non erano state risolte ed erano pronte a riesplodere. Dopo questa emergenza del Covid19 pensare che nulla sia successo sarebbe mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Altro pericolo subdolo indotto dal distanziamento sociale e dal lockdown è l’obsolescenza dei rapporti umani. Stare al chiuso per molto tempo induce istituzioni e persone con un atteggiamento non proattivo a favorire strategie di contenimento e di fuga dal mondo. Sale già ripiegate su stesse rischiano di chiudersi ancora di più. Questo vale anche per l’Acec e per il mondo cattolico.
Tornare nella vita reale intraprendendo percorsi innovativi che investano nella cultura. Questo non è automatico. La chiesa in un mondo che sarà ancora più complesso e plurale deve tornare a investire sulla cultura come ci invita a fare Papa Francesco: “La grazia suppone la cultura” (EC 105).

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Sull'autore

Francesco Giraldo

Segretario Generale Acec

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